Fuga di dirigenti scolastici dal Nord, che scappano, verso le proprie famiglie al Sud, lontano dal rischio di un altro confinamento da Coronavirus da soli nelle brume di qualche landa del Nord Italia: l’allarme è lanciato dall’Associazione nazionale presidi che evidenzia come per molti dirigenti scolastici di prima nomina originari del Sud e neo assunti all’ultimo concorso in Lombardia, Veneto, Piemonte, Trentino ed Emilia Romagna hanno rinunciato all’incarico, preferendo tornare al Sud come docenti semplici.
La denuncia è arrivata dai sindacati e dalla stessa Associazione nazionale presidi che chiede di fare in fretta anche sulla ricerca di nuove strutture dove permettere lo svolgimento delle lezioni ai ragazzi: «servono decine di migliaia di strutture, restano fuori 40.000 classi».
Mentre un ministro all’Istruzione sempre più inadeguato come la pentastellata Azzolina tenta di organizzare il ritorno tra i banchi il prossimo 14 settembre, nella parte del Paese più colpita dal Coronavirus i presidi di prima nomina abbandonano gli istituti per tornare dietro le cattedre al Sud.
«Sono troppo lontani da casa e non riuscendo ad ottenere l’avvicinamento scelgono di tornare – spiega Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi -. Dopo un primo anno attraversato dai problemi di organizzazione per il Coronavirus e il conseguente confinamento personale, ora non vogliono rischiarne altri periodi lontani dai propri cari».
Giannelli spiega che si tratta soprattutto di quei docenti originari del Sud che hanno vinto il concorso e sono stati messi in ruolo a settembre 2019, magari al Nord lontano dalla propria residenza: «dopo un anno vissuto al Nord per loro l’aumento di stipendio non vale il rischio del disagio. Ne consegue un problema di perdita di risorse», spiega Giannelli.
La situazione denunciata dall’Associazione nazionale presidi riporta alla luce una questione mai sopita: la regionalizzazione della scuola e della gestione del relativo personale e, magari, anche dei contenuti didattici. La fuga dal Nord dei dirigenti scolastici di prima nomina fa il paio anche con la fuga dei docenti non locali che, una volta stabilizzati nel ruolo, fanno immediatamente domanda per avvicinarsi al paesello d’origine, originando un fenomeno che meriterebbe un migliore governo da parte del ministero: l’eccesso di personale nelle scuole dei Sud Italia e gravi vuoti d’organico al Nord.
Chi ha tentato di porre un freno alla mobilità dei docenti ha sempre cozzato contro il muro di Roma, impermeabile a qualsiasi organica autonomia scolastica, che passi dalla messa in ruolo e dalla conseguente garanzia di permanenza nel posto per almeno un quinquennio, oltre ad un adeguamento degli stipendi del personale all’effettivo costo della vita nelle realtà dove svolgono l’incarico. Più che comprensibile che uno stipendio uguale su tutto il territorio nazionale abbia un maggiore “peso” in quelle realtà dove il costo della vita è minore della media nazionale (al Sud) e sia molto più “leggero” dove il costo della vita è decisamente superiore come nelle città del Nord.
Se si vuole dare un effettivo servizio di qualità alla didattica italiana la cosa migliore sarebbe l’erogazione di un buono scuola da corrispondere ad ogni studente parametrato sul costo della vita e sul livello scolastico frequentato (via a crescere dalle scuole primarie alle superiori) che ciascuna famiglia possa spendere liberamente nella scuola che reputa più confacente alle proprie esigenze, pubblica o privata. Ne nascerebbe anche una positiva concorrenza tra istituti finalmente incentivati a migliorare la propria offerta didattica e la qualità del corpo docente.
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