Nel campo dei servizi ambientali possibili investimenti per 2 miliardi di euro nei prossimi tre anni

Studio di Crif Ratings e Ref Ricerche sulle prospettive del settore. Bene il NordEst dove gli investimenti hanno portato al 70% la raccolta differenziata. Solo il 10% dei comuni applica la tariffa puntuale sull’asporto rifiuti. 

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Il settore dei servizi ambientali mostra elevata frammentazione, risultati economico-finanziari eterogenei, riduzione di produzione del rifiuto e il reperimento delle risorse necessarie per incrementare gli investimenti. Questi i principali temi su cui tutti i protagonisti del settore, e in particolare la nuova Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), dovranno confrontarsi nel breve termine per dare vigore al settore ambientale.

CRIF Ratings ha contribuito alla discussione con un’analisi campionaria sui dati di bilancio dei principali gestori ambientali industriali (circa ottanta) nonché dei dati di finanza pubblica relativi al gettito da tributo sui rifiuti riportati nei bilanci comunali del 2016.

Secondo CRIF Ratings, l’utilizzo dei flussi finanziari generati negli ultimi 3 anni dall’aumento della marginalità e l’uso della leva finanziaria potrebbero generare risorse per investimenti per circa 2 miliardi di euro nei prossimi 3 anni, pari a 25 euro pro capite, «queste risorse potrebbero essere concentrate nelle aree del Paese in cui è carente la misurazione puntuale del rifiuto» commenta Marco Bonsanto, direttore associato presso CRIF Ratings, autore dell’analisi.

In generale, i ricavi dai servizi ambientali dell’intero campione nel quadriennio 2013-2016 mostrano segnali positivi con un tasso di crescita annua media (CAGR) del 4%, passando da dia 5 miliardi di euro del 2013 a ai 5,6 miliardi del 2016. L’area che mostra il maggior incremento è il Sud (CAGR 6,3%) pur rappresentando solo circa il 15% dei ricavi totali. Il NordEst ha incrementato i sui ricavi del 5% mentre il Centro ha performato in linea con il dato nazionale. In controtendenza il NordOvest, dove il CAGR si è attestato a poco più dell’1%.

All’analisi dei risultati si è affiancata l’osservazione relativa alla presenza/assenza di impianti tra le immobilizzazioni del gestore, quali discariche, inceneritori, trattamento meccanico biologico, compostaggio, ecc. Dall’analisi emerge che i gestori che presentano impianti hanno visto i loro ricavi crescere in maniera più decisa rispetto alla media nazionale, e pari a circa il 6%. Molto modesta invece la crescita di quegli operatori che non posseggono impianti (CAGR inferiore all’1%).

L’identikit del gestore ottimale dei servizi ambientali dal punto di vista della marginalità (EBITDA margin) individua il territorio tra le regioni del CentroNord, un fatturato superiore ai 100 milioni di euro e la presenza di impianti nell’attivo patrimoniale. L’EBITDA margin medio a livello nazionale è del 15% e risulta essere inferiore del 36% nelle regioni del Sud, del 16% in gestioni con fatturato inferiore ai 100 milioni di euro e del 4% nel caso di gestori senza impianti.

Dal punto di vista finanziario, l’analisi mostra una dinamica discendente relativa al debito finanziario (CAGR -1,5%) in tutte le macro-aree, con eccezione del Sud. Per contro, le disponibilità liquide risultano essere in aumento (CAGR +20%). «Da questo si può dedurre che le gestioni abbiano utilizzato solo parte dei maggiori flussi finanziari generati dall’aumento della marginalità per finanziare gli investimenti e ciò nell’immediato genera un miglioramento dell’indice di leva finanziaria (PFN/EBITDA). L’evoluzione di quest’ultimo mostra un CAGR a livello nazionale del -32% tra il 2013 e il 2016, più marcato al Centro (-43%)», aggiunge Marco Bonsanto.

Ne deriva che gli investimenti pro capite tra il 2015 e il 2016 in Italia sono stati pari a 16 euro, sebbene con differenze sostanziali tra le diverse macro-aree. Se infatti il NordEst mostra un dato superiore alla media nazionale del 100% e il NordOvest resta molto vicino alla media, il resto d’Italia risulta essere molto distante. Il Centro è inferiore del 30% e il Sud è inferiore addirittura di più del 50%. Queste differenze trovano conferma anche nella percentuale di raccolta differenziata, diretta conseguenza di investimenti effettuati in comunicazione e sensibilizzazione, macchinari, impianti e strumentazione focalizzata sulla raccolta puntuale. Queste percentuali premiano il Nord (NordEst vicino al 70% e NordOvest a circa il 60%).

Passando al tema della finanza pubblica, solo il 10% dei comuni Italiani ha adottato una tariffazione di tipo puntuale, nel resto dei comuni c’è il tributo. Sebbene entrambi gli schemi si basano sul principio del “chi inquina paga” nel caso dello schema a tributo il corrispettivo dovuto dall’utenza è legato solo ad elementi che esulano dall’utilizzo del servizio (metri quadro e numero componenti del nucleo familiare) e il rischio del mancato incasso pesa sulle casse comunali.

Nel triennio 2014-2016 i comuni italiani hanno riscosso solo l’80% dell’accertato causando un ammanco medio di circa 1,7 miliardi di euro (1,8 miliardi di euro nel solo 2016). «Dall’analisi emerge che l’ammanco varia notevolmente da regione a regione, con punte di 120 euro pro capite nel Lazio – sottolinea Bonsanto -. Seguono la Sicilia (77 euro), la Campania (63) e la Calabria (45). Mancati incassi tra i 20-30 in Sardegna, Umbria, Puglia e Liguria mentre in Emilia-Romagna, Piemonte, Abruzzo, Toscana, Marche, Molise e Basilicata non si incassano tra i 10-20. Virtuosi risultano invece il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, il Veneto, il Trentino Alto-Adige e la Valle d’Aosta».