Produrre combustibili da rifiuti solidi urbani, plastiche non riciclabili e biomasse, senza emissioni inquinanti e con l’utilizzo di energia rinnovabile: è quanto permette il nuovo processo sviluppato e brevettato dai ricercatori ENEA dei dipartimenti Tecnologie energetiche e Fonti rinnovabili e Fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare che riesce a trattare anche il rifiuto indifferenziato, problema drammatico per tante, troppe realtà urbane italiane, senza emettere sostanze inquinanti.
«Il nostro obiettivo è produrre combustibili puliti come l’idrogeno o miscele idrogeno/metano partendo da materiali a base carboniosa di basso valore, attraverso un processo che utilizza energia rinnovabile e che non emette sostanze inquinanti nell’ambiente. Si tratta quindi di una via puramente termochimica per la produzione di idrogeno e al tempo stesso per la valorizzazione energetica dei rifiuti», spiega il ricercatore ENEA Alberto Giaconia, inventore del brevetto insieme ai colleghi Silvano Tosti, Giampaolo Caputo e Alfonso Pozio.
A differenza dei comuni processi di gassificazione e combustione, questo trattamento per produrre combustibili da rifiuti si basa su un’operazione di “idrogassificazione” che consiste nel trattare il rifiuto grezzo, anche indifferenziato con presenza di umido o il solo umido o, ancora la parte residua della raccolta differenziata, con idrogeno.
«Di fatto, l’idrogassificazione permette di convertire il rifiuto in metano utilizzando idrogeno. Il metano prodottoviene poi trattato in un processo sostenuto con calore proveniente da fonti rinnovabili derivante da energia termica da solare a concentrazione oppure generato da energia elettrica da fonte fotovoltaica o eolica», prosegue Giaconia.
I prodotti ottenuti sono la CO2 in forma concentrata che, a differenza di quella ottenuta dai normali processi combustione, è facilmente separabile per essere eventualmente trasportata e riutilizzata, e l’idrogeno, parte del quale andrà ad alimentare (come reagente) il processo di idrogassificazione.
L’idrogeno prodotto in eccesso (circa il doppio di quello immesso nel ciclo) rappresenta il combustibile “pulito” generato dal processo, che può essere immesso in un mercato emergente fortemente promosso dal Pnrr, per produrre, unitamente alla CO2 carburanti sintetici, come benzina, diesel, avio da utilizzare senza modifiche anche sul parco veicoli circolanti azzerandone le emissioni inquinanti, oppure in processi industriali.
«Possiamo prevedere che il processo sia vantaggioso anche a livello economico perché utilizziamo un rifiuto per ottenere un combustibile commerciale. Basti pensare a quanto un comune come quello di Roma debba oggi pagare per esportare rifiuti che invece potrebbero essere valorizzati. La trasformazione inoltre prevede l’immagazzinamento di energia rinnovabile con un sistema relativamente semplice e con elevata efficienza – evidenzia Giaconia -. Ora la sfida è passare alla fase pratica per realizzare il primo impianto pilota precommerciale per arrivare ad affinare industrialmente la tecnologia, che potrebbe essere strutturata anche su impianti compatti e modulari, capaci di essere spostati dove serve». Ad iniziare dai depositi di ecoballe di rifiuti indifferenziati che costellano gran parte delle periferie urbane italiane, in attesa di essere esportate presso qualche inceneritore estero a caro prezzo.
Non solo: una tecnologia di questo genere potrebbe trasformare le discariche esaurite in nuove miniere dove estrarre tutta la frazione che può avere valorizzazione energetica, ad iniziare dalle plastiche, risolvendo anche problemi strutturali come l’inquinamento delle falde e l’emissione di gas metano derivante dalla fermentazione dei rifiuti.
La sfida è trovare una collaborazione qualche azienda interessata a sfruttare il brevetto e con qualche realtà territoriale interessata a risolvere in modo sostenibile il trattamento dei rifiuti urbani ospitando l’impianto pilota.
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