Anbi: per il Nord Italia è allarme siccità per l’estate

Gargano: «l’emergenza climatica è ormai strutturale e serve una visione per la gestione dell’acqua». Serve un piano per migliorare la raccolta dell’acqua piovana. 

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Il grave stato di scarsità di portata del fiume Po al ponte della Becca.

I dati preannunciano un’estate idricamente difficile al Nord Italia secondo Massimo Gargano, direttore generale dell’Anbi(Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) che spiega come «l’emergenza climatica è ormai strutturale e dobbiamo avere visione del futuro e fare ora scelte» per fronteggiare l’allarme siccità.

Ogni giorno che passa, aggiunge Gargano, «disegna sempre più un quadro di conclamata, grave siccità per i mesi a venirenelle regioni del Nord Italia. Ancora una volta, ci apprestiamo all’evenienza, incapaci di politiche di visione e coesione con gli Stati confinanti per la gestione delle risorse idriche transfrontaliere, così come fra le regioni e i molteplici interessi gravitanti attorno alla risorsa acqua».

Ad avviso di Gargano «c’è un evidente delta tra la percezione del problema e la capacità di risposte concrete di fronte a un’emergenza climatica, che ormai strutturale: in un anno gli incendi son cresciuti del 320% e la desertificazione del 21% sul territorio italiano; le stagioni si susseguono sempre più calde e ogni anno, seppur in zone diversificate del Paese, si conta un miliardo di danni all’agricoltura per siccità. Eppure, di fronte a questi dati, il territorio continua ad essere infrastrutturato per raccogliere solo l’11% dei 300 miliardi di metri cubi d’acqua, che annualmente cadono sulla Penisola. A essere deficitariesono soprattutto le regioni settentrionali, penalizzate quest’anno anche da apporti nivali inferiori fino all’80% rispetto alla media».

Altri dati, ricorda l’Anbi, dimostrano che «il 91% dei comuni italiani è toccato dal rischio idrogeologico e l’83% delle frane d’Europa è registrata in Italia; ogni anno gli eventi naturali causano mediamente 7 miliardi di danni, ma solo il 10% viene effettivamente ristorato. La rete idrica è vetusta: il 60% delle condotte ha più di 30 anni e il 25% addirittura più di mezzo secolo».

L’agricoltura, «grazie alla ricerca applicata, ha ridotto al 40% del totale, il proprio, indispensabile fabbisogno idrico per produrre cibo e competere sui mercati planetari» conclude Gargano ricordando che occorre «sicurezzasull’approvvigionamento idrico, che solo migliaia di nuovi invasi per lo più medio-piccoli possono garantire», perché l’ipotetica desalinizzazione di acque marine è economicamente insostenibile e l’utilizzo di acque reflue deve certificaresicurezza alimentare ai consumatori, mentre ancora il 30% dei depuratori italiani produce reflui insalubri».

Di qui la necessità che gli amministratori locali, anche nell’ambito dei fondi del Pnrr, inizino a predisporre un piano concretodi realizzazione degli invasi utili, oltre a conservare l’acqua a scopi idropotabili ed irrigui, anche per la regimazione del flusso d’acqua per evitare le piene e per la produzione di energia idroelettrica. Non serve fare grandi impianti ad elevato impatto ambientale: basterebbero piccoli sbarramenti per realizzare invasi diffusi che potrebbero avere anche valenza turistica e ricreativa. Sempre che non si voglia intervenire quando i rubinetti sono a secco e i campi bruciati.

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