Il comparto latte europeo inizia a registrare un calo generalizzato delle quotazioni e l’Italia registra sempre più difficoltà. Il quadro della situazione è tracciato da Confagricoltura Piacenza che mette in risalto come in Italia, se la filiera dei formaggi Dop «premia i fortunati conferenti», il latte non assorbito dalle filiere più remunerative«resta esposto alle fluttuazioni del mercato e viene venduto in modo disaggregato dai produttori che si adeguano alla quotazione di Lactalis, consolidatasi come riferimento nazionale».
C’è attesa da parte dei produttori nazionali per capire quale sarà la nuova quotazione dopo che l’industria aveva concordato di rivedere gli accordi ad aprile in base all’andamento del mercato: in Francia la produzione è tornata ad aumentare. Lactalis France, a febbraio scorso, presentando il bilancio 2022 ha dichiarato che «di fronte all’esplosione dei costi di produzione» nel 2022 ha aumentato «il prezzo del latte pagato agli allevatori partner», con un rincaro medio del 25% rispetto al 2021. Stesso andamento seguirà nel 2023, con un prezzodel latte che già a gennaio-febbraio era superiore del 20% rispetto a gennaio/febbraio 2022. Tutto questo mentre in Germania il latte “spot” è venduto a circa 38 cent di Euro/litro, 20 cent/litro meno di quello italiano.
«Con i nostri costi sarebbe impossibile andare avanti – spiega Alfredo Lucchini, presidente della sezione di prodotto lattiero-casearia di Confagricoltura Piacenza -. Se i tedeschi possono produrre a quelle condizioniviene da pensare che siano stati stanziati aiuti statali perché i costi di produzione non si stanno contraendo in modo significativo e sono rimasti allineati agli aumenti del triennio 2020-2022. La leggera flessione del costodelle materie prime, registrata dai bollettini delle borse merci, non deve indurre a pensare che gli allevatori ne possano beneficiare: purtroppo i costi della razione sono quasi marginali rispetto agli altri oneri, letteralmente esplosi, per il mantenimento organizzativo e gestionale delle nostre aziende».
«Manutenzioni, aggiornamenti tecnici e sostituzioni di attrezzature e strutture obsolete sono costose attività non procrastinabili per le imprese chiamate ad essere sempre più efficienti e razionali per produrre di più impattando sempre meno – aggiunge Lucchini -. Il gap delle quotazioni con il latte estero non basta a sostenereil quadro normativo e i vincoli ambientali che subiamo. Oltretutto, la storia ci insegna che si registrerà un allineamento delle quotazioni, ma non è possibile per le nostre aziende continuare a lavorare con queste paure, oltretutto affrontando la contrattazione con l’industria senza aver approntato gli strumenti previsti nel pacchetto latte per fare massa critica e aumentare il potere contrattuale. I nostri asset danno sempre meno la possibilità di valorizzare il prodotto nazionale».
«Venendo al nostro areale, produrre Grana conviene, il problema – ricorda Lucchini – è che gli allevatori non possono scegliere se e quanto latte conferire alla filiera della Dop e per chi resta fuori è ancora oggi un atto subito. Chi ha conferito al Grana, nel 2022, principalmente in ambito cooperativo, ha potuto vedere una buona remunerazione del latte. Diversamente, gli allevatori conferenti a strutture industriali si sono visti riconoscereun prezzo anche inferiore del 20%. Se fossimo stati aggregati avremmo potuto, in un momento di scarsa offerta, avere maggior peso nella contrattazione con la parte industriale».
«Circa la possibilità di aumentare la quota di latte da far confluire nella filiera della Dop -conclude Lucchini -, in ogni caso più remunerativa, il crescente mercato dei similari ci rinfaccia che una segmentazione del mercatodel prodotto principale avrebbe potuto permettere una maggior ridistribuzione dei vantaggi di appartenere all’areale della Dop di formaggio più venduta al mondo. Chiediamo ormai da troppo tempo più coraggio e solidarietà in tal senso».
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