Fisco: rischio evasione aumentato con la flat tax

Secondo la relazione alla Nadef ci sarebbe una maggiore tendenza sottodichiarare avvicinandosi alla soglia. Ma è lo stesso comportamento di ogni contribuente sull’orlo del passaggio di scaglione. 

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rischio evasione

«L’introduzione di una flat tax sino a una certa soglia può generare comportamenti anomali in corrispondenza della soglia medesima» è scritto nella Relazione sull’evasione fiscale allegata alla Nadef, secondo cui «l’analisi statistica sembra confermare per il 2019 un effetto di autoselezione dei contribuenti con ricavi e compensi al di sotto della soglia massima di 65.000 euro al fine di beneficiare dell’agevolazione prevista dal regime forfetario» precisando che questo «può dipendere da una riduzione dell’attività produttiva» o «da una tendenza a sottodichiarare i ricavi pur di non superare la soglia dei 65.000 euro», ovvero di rischio evasione aumentato.

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Chi ha vergato queste parole deve avere scoperto l’acqua calda, visto che ciascun contribuente, sia in regime ordinario che in quello di flat tax, dipendente o autonomo, fa comunemente due conti su quanto possa guadagnare e su quanto il maggior guadagno possibile gli comporti un passaggio di scaglione fiscale, che in Italia è spesso decisamente marcato come nel caso della flat tax al regime ordinario (oltre i 65.000 euro si passa dal 15% al 43%: un salto folle) o nel salto di scaglione (oltre i 28.000 euro lordi si passa dal 25% al 35% e oltre i 50.000 euro al 43%, cui vanno aggiunte le addizionali regionali), tale da annullare fiscalmente ogni vantaggio reddituale. Altro che rischio di evasione aumentato.

Chiunque mette in campo una politica di gestione del proprio carico fiscale: chi fattura, spesso rimanda l’incasso all’anno dopo o anticipa un investimento fiscalmente deducibile; chi è dipendente o non accetta di svolgere ore di lavoro straordinario o anticipa spese fiscalmente deducibili.

Certo, nel caso dei lavoratori autonomi o di quelli dipendenti i casi di sottodichiarazione sono ben poca cosa rispetto al comportamento delle multinazionali, quelle che a fronte di miliardi di fatturato pagano solo una manciata di milioni di tasse quando va bene sfruttando legittimamente l’elusione o il trasferimento della sede legale nei cosiddetti paradisi fiscali: dal Belgio all’Olanda in Europa o al Delaware negli Stati Uniti.

Chi si preoccupa della sottodichiarazione dovrebbe riflettere come la sua affermazione si scontri sul maggiore gettito tributario incassato dallo stato: secondo il ministero dell’Economia e finanze, nel periodo gennaio-settembre 2022 le entrate tributarie erariali accertate in base al criterio della competenza giuridica ammontano a 378.845 milioni di euro, con un incremento di 37.086 milioni di euro rispetto allo stesso periodo 2021 (+10,9 %).

Inoltre, nel periodo 2017-2019 l’evasione fiscale è calata: sempre secondo la relazione allegata alla Nadef, «in media, per il triennio 2017-2019, per il quale si dispone di un quadro completo delle valutazioni, il gap complessivo risulta di quasi 103,3 miliardi di euro, di cui 91 miliardi di mancate entrate tributarie e 12,2 miliardi di mancate entrate contributive. Nel 2019, il gap complessivo, tributario e contributivo, risulta pari a 99,2 miliardi di euro e si colloca per la prima volta al di sotto della soglia di 100 miliardi di euro».

Di fatto, in tema fiscale più che combattere la flat tax adombrando un maggiore rischio evasione che si appresta ad essere giustamente incrementata fino ad una soglia di 85-90.000 euro mantenendo invariata l’aliquota al 15% e in presenza di una forte semplificazione contabile e di limitazione della deducibilità di costi, sarebbe auspicabile una forte semplificazione delle aliquote, magari arrivando ad un appiattimento complessivo del prelievo fiscale tale da abbattere ogni resistenza alla crescita professionale e reddituale delle persone, allestendo una progressività fiscale imposta dalla Costituzione basata solo sulle deduzioni, limitandole solo ad una quota di 30.000 euro, cancellandole sopra.

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