La città di Bolzano è in testa alla classifica dell’Unione nazionale consumatori (Unc) dei capoluoghi e delle cittàcon più di 150.000 abitanti più care, con un’inflazione annua pari a +10% (la più alta d’Italia), che si traduce in una maggior spesa aggiuntiva annua equivalente di 2.658 euro. Al secondo posto c’è Trento, dove il rialzo dei prezzidel 9,5% determina un incremento medio di spesa pari a 2.486 euro per famiglia.
A Bologna si ha un aumento dei prezzi dell’8,6% per un aumento della spesa di 2.145 euro mentre a Firenze si registra un +8,6% per 2.006 euro in più. La città più virtuosa è Campobasso, con un’inflazione del 6,9% e una spesa aggiuntiva per una famiglia tipo pari a 1.263 euro seguita da con una crescita dei prezzi del 7,1% e una spesa maggiorata per 1.326 euro e Bari con un’inflazione a luglio del 7,8% e rincari per una famiglia tipo di 1.354 euro. Roma registra un’inflazione al 7,5%, inferiore alla media nazionale con una spesa maggiore di 1.756 euro a famiglia rispetto all’anno scorso. A Napoli i prezzi sono aumentati del 7,6% per una spesa per nucleo tipo maggiorata di 1.538 euro.
La classifica di Unc è stata stilata sulla base dei dati Istat relativi all’inflazione di luglio nelle regioni, nei capoluoghi di regione e nei comuni con più di 150.000 abitanti. Per quanto riguarda la classifica delle regioni e delle provincie autonome, con un’inflazione annua a +9,7%, il Trentino è al primo posto, con un aggravio medio pari a 2.521 euro su base annua per famiglia. Segue la Lombardia, dove la crescita dei prezzi del 7,7% implica un’impennata del costo della vita pari a 2.001 euro, terzo il Veneto, +8,5%, con un rincaro annuo di 1.946 euro. La regione piùvirtuosa è il Molise con una crescita dei prezzi del 6,9% (1.263 euro il rincaro medio a famiglia) seguita dalla Pugliacon un aumento dei prezzi del 7,9% e un rincaro medio a nucleo di 1.279 euro.
«L’inflazione ancora elevatissima e pari al 7,9% a luglio è una tragedia per i consumatori e avrà effetti pesantissimi sull’economia nazionale» afferma il Codacons commentando i dati Istat diffusi oggi dall’Istat. «Il tasso di inflazione al 7,9% si traduce a parità di consumi in una maggiore spesa pari a +2.427 euro annui per la famiglia“tipo”, che raggiungono +3.152 euro annui per un nucleo con due figli, considerata la totalità dei consumi di una famiglia – calcola il Codacons -. Considerato l’andamento complessivo dell’inflazione nel nostro paese questo significa che, a parità di consumi, gli italiani subiscono nel corso dell’anno un aggravio di spesa pari a complessi +53,5 miliardi di euro per l’acquisto di beni e servizi rispetto al 2021, di cui 10,9 miliardi di euro solo per la spesa alimentare a causa proprio dell’aumento di prezzi e tariffe».
«Siamo in presenza di una vera e propria emergenza nazionale che avrà effetti pesanti sull’economia e sulle condizioni economiche delle famiglie – spiega il presidente del Codacons, Carlo Rienzi -. È necessario intervenire con urgenza tagliando subito l’Iva sui beni di prima necessità come gli alimentari, i cui prezzi hanno subito a luglio un rincaro record del +10% su base annua, in modo da consentire una riduzione immediata dei listini al dettaglio e permettere alle famiglie di mettere il cibo in tavola senza subire un salasso».
Dal dato variabile per località dell’inflazione – molto maggiore al Nord che al Sud – fa emergere la necessità di superare la retribuzione e le pensioni uguali in tutto il territorio nazionale e di parametrarle al reale costo della vita, anche per non inficiare la mobilità nazionale dei lavoratori – come stanno evidenziando i vari bandi connessi alle assunzioni del Pnrr, con i posti destinati al Nord largamente vuoti proprio per il maggiore costo della vita. La situazione che si viene a creare di fatto è che i lavoratori al Nord e nelle zone a maggiore inflazione sono più poveri dei loro colleghi dove l’inflazione morde meno. Una situazione che i sindacati per primi dovrebberosanare nella loro contrattazione, prevedendo la parametrazione regionale del costo del lavoro.
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