Il problema della siccità è sempre più grave in Italia, con laghi e bacini artificiali ai minimi storici e torrenti e fiumi quasi in secca. Secondo “Lo Schiacciasassi” è indispensabile intervenire ora e subito per avere soluzioni concrete nei prossimi mesi, senza dovere rivivere le situazioni odierne, dove l’agricoltura è in ginocchio, molte realtà urbane hanno gli acquedotti a secco e con tante centrali idroelettriche e pure quelle termoelettriche o a secco o a regime ridotto per la mancanza di acqua per raffreddare gli impianti.
Qualcosa si muove per combattere la siccità. Sono 223 i progetti definitivi ed esecutivi, immediatamente cantierabili, approntati da Anbi (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) e Coldiretti nell’ambito del “Piano Laghetti”, che punta a realizzare 10.000 invasi medio-piccoli e multifunzionali entro il 2030, in zone collinari e di pianura.
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Anbi precisa che «l’investimento previsto per questa prima tranche del “Piano Laghetti” per combattere la siccità è quantificato in 3,252 miliardi di euro» e i nuovi bacini «incrementeranno di oltre il 60% l’attuale capacità complessiva dei 114 serbatoi esistenti e pari a poco più di 1 miliardo di metri cubi, contribuendo ad aumentare, in maniera significativa, la percentuale dell’11% di quantità di pioggia attualmente trattenuta al suolo». La realizzazione dei primi 223 laghetti «comporterà nuova occupazione stimata in circa 16.300 unità lavorative e un incremento di quasi 435.000 ettari nelle superfici irrigabili in tutta Italia, nel solco dell’incremento dall’autosufficienza alimentare, indicato come primario obbiettivo strategico per il Paese».
Il maggior numero di attuali progetti interessa l’Emilia Romagna (40), seguita da Toscana e Veneto come evidenziato dall’emergenza idrica in atto; per quanto riguarda il CentroSud, la Calabria è la realtà che vanta il maggior numero di progetti sul tappeto.
Il “Piano laghetti”, oltre che combattere la siccità, ha anche un ruolo energetico: «l’altro e determinante obbiettivo strategico dell’autosufficienza energetica, dovranno essere realizzati 337 impianti fotovoltaici galleggianti (potranno occupare fino al 30% della superficie lacustre) e 76 impianti idroelettrici, capaci di produrre complessivamente oltre 7 milioni di megawattora all’anno».
«Quella attuale è la sesta emergenza siccità nei recenti 20 anni e ha già provocato danni per circa 2 miliardi all’agricoltura – precisa Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi -. Servono investimenti infrastrutturali ed il Piano Laghetti è una scelta di futuro».
«L’Italia – aggiunge Ettore Prandini, presidente Coldiretti – è al terz’ultimo posto in Europa per investimenti nel settore idrico. Un piano di laghetti diffusi e con funzioni anche ambientali e’ la soluzione all’impossibilità di realizzare grandi invasi».
«Se il Governo ha la reale volontà di realizzare almeno 20 grandi interventi infrastrutturali per il settore idrico entro il 2024, non potrà prescindere dalle progettazioni, in avanzato iter procedurale, redatte dai Consorzi di bonifica ed irrigazione. E’ un parco di soluzioni, che mettiamo a servizio del Paese» conclude Massimo Gargano, direttore generale di Anbi.
Per un utilizzo circolare della risorsa acqua potabile, a Cesena si sta sperimentando un impianto pilota dove le acque reflue trattate dal depuratore, invece di essere scaricate nel fiume, vengono utilizzate per irrigare i campi. Al momento sono interessate 54 piante di pomodoro e 66 piante di pesco nell’ambito del progetto sperimentale durato quasi due anni, “Value Ce In” (“Valorizzazione di acque reflue e fanghi in ottica di economia circolare e simbiosi industriale”), coordinato da Enea, con la partecipazione del Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale “Fonti Rinnovabili, Ambiente, Mare ed Energia” dell’Università di Bologna, volto al recupero delle acque scaricate dal depuratore di Cesena, poi destinate all’irrigazione di peschi e pomodori.
Nell’ambito del progetto, è stato messo a punto un sistema innovativo prototipale per il riuso delle acque depurate, installato nel depuratore della città romagnola. Grazie all’utilizzo di queste acque che contengono già alcune sostanze nutritive necessarie per la crescita delle piante, si può ottenere un risparmio, ad esempio nel caso della coltivazione dei peschi, del 32% di azoto e dell’8% di fosforo. E’ stata riscontrata la totale assenza di contaminazioni da batteri fecali da escherichia coli a livello sia di germogli che di frutti.
Secondo le stime elaborate, l’utilizzo di acque reflue depurate per irrigare i campi potrebbe soddisfare fino al 70% del fabbisogno idrico irriguo della regione Emilia Romagna, riducendo di circa il 30% anche i costi per i concimi. Il progetto sperimentale ha contato su un budget totale di oltre 1,1 milioni di euro, di cui quasi 800.000 euro finanziati dalla Regione e cofinanziato dal Fondo per lo sviluppo e la coesione.
Infine, nel cantone svizzero Vallese, al confine con la Francia, la municipalità svizzera di Finhaut ha attivato la centrale idroelettrica di Nant de Drance, definita a ben vedere la “più grande batteria idroelettrica” europea, capace di una potenza di 900 MW di picco e 20 milioni di kWh annui di produzione di elettricità. Una centrale particolare: si tratta di una realtà a circuito chiuso costituita da due bacini tra loro comunicanti, posti ad un dislivello di 450 metri l’uno dall’altro, a 2.200 metri di quota sul mare.
La centrale permette, attraverso una stazione di pompaggio, di immagazzinare l’energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili o centrali nucleari in esubero sulla rete rispetto alla richiesta, pompando l’acqua nel bacino superiore. Quando occorre recuperare l’energia così immagazzinata sotto forma di energia potenziale, l’acqua viene fatta cadere verso il bacino inferiore, producendo energia elettrica attraverso turbine idroelettriche con un’efficienza complessiva dell’80%. La costruzione della centrale ha richiesto 14 anni di lavoro e la realizzazione di 17 km di tunnel sotterranei sotto le alpi.
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