Autonomia differenziata, forse è la buona volta

Gelmini: «il disegno di legge è pronto per la discussione ed approvazione nel Consiglio dei ministri». Occhio a chi rema contro, ad iniziare dai meridionalisti e dalle sinistre. 

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autonomia differenziata

Il disegno di legge sulla concessione dell’autonomia differenziata che si trascina da mesi, anzi da anni «è pronto ed è mio intendimento portarlo quanto prima all’esame del Consiglio dei ministri» afferma il ministro per gli Affari regionalie le autonomie, la forzista lombarda Mariastella Gelmini, rispondendo al “question time” alla Camera.

Lo scorso aprile, ricorda Gelmini, «il testo del disegno di legge è stato trasmesso alle amministrazioni competenti per l’avvio dell’istruttoria formale preliminare alla presentazione in Consiglio dei ministri e al Mef, che ha richiesto alcune modifiche, peraltro integralmente recepite nella versione del testo che sta circolando. Il ddl – aggiunge – è oggetto di ulteriori limature, aperto a modifiche migliorative, ma comunque maturo per la discussione in Consiglio dei ministriche dovrà valutarlo nel suo complesso, anche alla luce dell’attuazione del federalismo fiscale, quale riforma abilitantedel Pnrr da realizzare entro il 2026».

Gelmini sottolinea quindi che «la richiesta di maggiore autonomia, un tempo limitata a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, è stata ora chiesta da altre tre regioni (Piemonte, Liguria e Toscana) e giunge dunque da territori che rappresentano circa la metà della popolazione italiana. Il rilancio del Mezzogiorno è al centro delle politiche del Governo e non può esistere autonomia senza questo obiettivo».

L’autonomia differenziata, prosegue Gelmini, «non è più un tema di contrapposizione fra il Nord e le altre aree del Paese, ma ha assunto la dimensione di una questione nazionale. Una questione di cui il Governo ha mostrato immediatamente di volersi occupare, un’opportunità per efficientare la spesa pubblica, per semplificazione e sburocratizzazione. Non vogliamo penalizzare il Mezzogiorno. L’autonomia differenziata così’ intesa non attribuiscealle Regioni richiedenti risorse maggiori rispetto a quelle di cui attualmente dispongono; né toglie alcunché alle Regioni che non si avvalgono di questa possibilità. Ha piuttosto l’obiettivo di responsabilizzare le classi dirigenti regionali, le quali, chiedendo più autonomia, raccolgono la sfida di poter esercitare, in condizioni di maggiore efficienza ed economicità, funzioni oggi svolte dallo Stato. Si vincolano così ad un uso efficiente e razionale delle risorse e a una massimizzazione del rapporto fra costi e risultati».

Gelmini risponde a chi ha criticato il ricorso alla legge quadro: «nasce principalmente dalla volontà di coinvolgere il Parlamento. Se non ci fosse il desiderio di un protagonismo del Parlamento, alla luce del dettato costituzionale, potremmo procedere anche in assenza di una legge quadro. Al contrario abbiamo scelto la strada di approvare una legge cornice. Si tratta di una scelta non scontata, ma che parte dalla volontà di assegnare un adeguato ruolo di confronto, esame e anche decisionale da parte del Parlamento che non ha affatto un ruolo notarile».

Gelmini, replicando al “question time” alla Camera a un’interrogazione di Leu sulle iniziative volte a valorizzare il ruolo del Parlamento in relazione alle prospettate iniziative legislative in materia di autonomia differenziata, sottolinea come «basterà ricordare che nel febbraio 2018 tutte e tre le regioni che fecero formale richiesta di maggiore autonomia (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) siglarono, con il Governo Gentiloni, accordi preliminari in assenza di una legge quadro, a schema libero. Non è quindi banale avere oggi raccolto consenso almeno su questo elemento: che la legge quadro sia imprescindibile».

«Il protagonismo del Parlamento comincia da qui: dal poter modellare i contorni del ddl a cui tutte le intese tra Governo e Regioni dovranno conformarsi – afferma Gelmini -. Ma non basta. Il coinvolgimento del Parlamento si esplica anche nel procedimento di approvazione delle intese. Dapprima attraverso la Commissione bicamerale per le questioni regionali, sede competente – per i regolamenti delle due Camere – a trattare tali questioni. In questa fase la Commissione bicamerale, sentite le Commissioni parlamentari competenti, potrà formulare rilievi sulla bozza di intesa fra Governo e Regione, i quali dovranno accogliere le modifiche che il Parlamento considera imprescindibili, per non esporsi al rischio di una bocciatura dell’intesa in sede di votazione finale. Toccherà a questo punto a Governo e Regione, proporre una nuova formulazione che possa superare il voto delle Aule. Come si vede, l’intervento del Parlamento non è affatto notarile. Al contrario esso garantisce sostanza politica all’intervento delle Camere, senza però intaccare il vincolo costituzionale dell’inemendabilità dell’intesa in sede di votazione finale, punto sul quale non è possibile nutrire alcun dubbio – essendo acclarato già nel 2018 durante il Governo Gentiloni – né lo nutre in effetti la dottrina giuridica».

Gelmini assicura anche il rispetto dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni: «si prevede che nelle quattro materie sanità, istruzione, trasporti e sociale, le Regioni non possano essere destinatarie di funzioni ulteriori, fin quando i Lep non saranno definiti».

Le dichiarazioni fatte da Gelmini non hanno soddisfatto i proponenti dell’interrogazione, i deputati di Articolo Uno, Pier Luigi Bersani e Vasco Errani, insieme a Federico Conte, deputato di Liberi e Uguali, secondo cui «non siamo di fronte a una norma per l’autonomia differenziata, ma per la cittadinanza differenziata. Principalmente tra Nord e Sud, ma anche tra centro e periferia e tra ricchi e poveri. Un trasferimento di funzioni e risorse senza una cornice costituzionale, senza il coinvolgimento attivo e protagonista del Parlamento, senza la garanzia dei Lep per chi deve ricevere servizi pubblici essenziali. Una prospettiva che non tiene conto del quadro di finanza pubblica, che la rende insostenibile, e della condizione socio-economica post pandemia e post bellica, che la rende potenzialmente letaleper i diritti di cittadinanza. Un tentativo, politicamente irricevibile, di liquidare una discussione di rilevanza costituzionale con qualche articolo di giornale e un chiacchiericcio di corridoio».

Comunque, ora il rischio è costituito dai tempi di approvazione della legge quadro, che rischia le sabbie mobili del procedimento e l’ammuina delle varie forze politiche che, a parole, sostengono la norma, ma nei fatti la ostacolano. Sarà già un ottimo risultato se la legge quadro sarà approvata dal Parlamento entro la fine della legislatura, ma sono decisamente in pochi a credere a questo scenario.

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