VI Rapporto sulle libere professioni in Italia: è crisi del lavoro autonomo e professionale

38.000 professionisti hanno chiuso l’attività nel 2020. Commercio, finanza e immobiliare i settori più penalizzati. La crisi pesa sui redditi sia tra ordinisti e non ordinisti.

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Commercialisti libere professioni incentivi VI Rapporto libere professioni

Secondo il VI Rapporto sulle libere professioni in Italia, la pandemia frena la corsa dei liberi professionisti: sono38.000 i liberi professionisti che hanno chiuso i battenti nel 2020, con calo del 2,7% rispetto al 2019. I più colpiti sono stati gli studi professionali con dipendenti, calati del 7%, ma più in generale è tutta l’area del lavoro indipendente a soffrire, lasciando sul campo 154.000 posti di lavoro (-2,9%).

La crisi ha picchiato più duro al Nord, dove si è registrato il calo più forte tra i liberi professionisti (-6,6%). Più contenuta invece la flessione nel Centro-Sud dove alcune regioni (Sardegna, Basilicata e Sicilia) mostrano invece segnali di ripresa. A crollare, però, non è solo il numero ma anche il reddito dei professionisti, senza distinzioni tra ordinistici e non, dove persiste ancora un forte divario reddituale tra uomini e donne.

Questo è lo scenario tratteggiato dal “VI Rapporto sulle libere professioni in Italia” curato dall’Osservatorio delle libere professioni di Confprofessioni, coordinato dal professor Paolo Feltrin, e presentato a Roma alla presenza di Tiziano Treu, presidente del CNEL e coordinatore del Tavolo permanente per l’attuazione del Pnrr; di Andrea Orlando, ministro del Lavoro; di Maria Stella Gelmini, ministro per gli Affari regionali e le Autonomie; di Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento e numerose altre autorità.

«Nel 2020 l’impatto del Covid sull’economia italiana è stato drammatico – commenta Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni -, ma nel corso del 2021 stiamo assistendo a una robusta risalita del Pil: le previsioni indicano un recupero di oltre 6 punti percentuali a fine anno. Un dato sorprendente non solo perché migliore rispetto a tutti i grandi Paesi europei, ma perché riconducibile in larga parte all’anticipazione degli investimenti e della produzione ingenerati dalla fiducia innescata dal governo Draghi e dalle attese sulle ricadute future del Pnrr sul sistema economico nazionale. In questo scenario».

Secondo Stella, «il mercato del lavoro ha sostanzialmente retto l’urto della pandemia, calando nel corso del 2020 di soli 2 punti percentuali. Tuttavia, gli ultimi dati ci confermano che stiamo assistendo a una riconfigurazione strutturale dell’occupazione in Italia che penalizza autonomi e professionisti rispetto ai lavoratori dipendenti».

La fotografia che emerge dal VI Rapporto sulle libere professioni raffigura un mondo in bilico tra ripresa e resilienza. Nel 2020 sono circa 1.430.000 i professionisti in Italia, che nonostante la frenata causata dalla pandemia, registrano un aumento di quasi 250.000 unità in più rispetto al 2009 – in netta controtendenza rispetto agli altri comparti del lavoro indipendente – che ridisegna la mappa delle attività, le caratteristiche demografiche e geografiche delle professioni.

Nonostante gli uomini rappresentino il 64,4% della popolazione professionale, sono le donne a sostenere la crescita occupazionale degli ultimi 10 anni con un aumento di circa 165.000 unità rispetto al 2010 (le regioni più “rosa” sono la Sardegna, la Lombardia e il Lazio), mentre la popolazione maschile sale di circa 47.000 unità. Il balzo delle professioniste si riscontra un po’ in tutti i settori di attività, ma in particolare nell’area sanitaria (52,8%) e legale (49%); più indietro le professioni tecniche.

Sulla spinta dei giovani e delle donne, l’area sanitaria è quella che cresce maggiormente in termini quantitativi, rappresentando il 19% del totale dei professionisti nel 2020. A ruota i servizi alle imprese (17%) e l’area tecnica (17%) che, però, perde terreno rispetto a dieci anni fa. Nell’ultimo anno, l’impatto del Covid-19 si fa sentire soprattutto nelle professioni a maggior specializzazione e in quelle dell’area tecnica, dove si registrano le maggiori perdite occupazionali che investono anche il lavoro autonomo.

Se il settore “Commercio, finanza e immobiliare” (-11,7%) precipita a causa del blocco delle attività imposto dal confinamento, perdite più contenute riguardano le “Attività professionali, scientifiche e tecniche” (-1,5%) e “Sanità e assistenza sociale” (-1,5%). Un andamento che si rispecchia in quasi tutte le regioni ma con intensità diverse. Le più colpite sono quelle del Nord che segnano in media un calo del 6,6%, quelle del Centro scendono dell’1,3%, mentre il Mezzogiorno si muove in controtendenza, segnando un incremento del 3,5%, sospinto dai “servizi alle imprese” e dalla “sanità”.

E sono proprio le regioni del Sud a sostenere le professioni durante la pandemia. Sardegna, Basilicata e Abruzzo trainano una ripresa occupazionale, che frena nelle regioni del Nord dove si registra in media una flessione di oltre il 7% con punte che superano il 20% in Val d’Aosta.

Al di là dell’effetto Covid–19, tuttavia, quasi la metà dei liberi professionisti italiani si trova al Nord, con oltre 706.000 unità che rappresentano il 48,5% del totale, in flessione rispetto al 2009. Balzo in avanti, invece, per il Mezzogiornoche si attestano a quota 385.000, scavalcando le regioni del Centro scese a quota 365.000. Numeri che nel complesso valgono il primato italiano in Europa, che vanta un tasso di presenza della libera professione più che doppio rispetto a Germania e Spagna e nettamente superiore a quello della Francia.

Secondo i dati del VI Rapporto sulle libere professioni la pandemia si fa sentire anche sulla redditività. Il reddito annuo medio dei professionisti iscritti alla Gestione separata dell’Inps è calato da 25.600 euro del 2019 a 24.100 euro del 2020, con una variazione annua del -5,7%. E lo stesso andamento si registra per i professionisti iscritti alle Casse previdenziali, dove però emerge una realtà piuttosto eterogenea. Nel 2019 i redditi dei professionisti ordinisti si stabilizzano a quota 35.500 euro: un dato negativo rispetto ai 37.500 euro del 2010.

Allargando l’orizzonte temporale agli ultimi cinque anni (2014-2019), però, si può valutare meglio le dinamiche reddituali delle diverse categorie: crescono i redditi di consulenti del lavoro (+33,4%), ingegneri e architetti(+10,4%), geometri (+9,4%) e avvocati (+3,4%), mentre crollano quelli degli agrotecnici (-37,2%), periti agrari(-30,8%) e infermieri (-15,3%). Un altro aspetto di criticità è dato dal divario reddituale tra uomini e donne: nella fascia d’età tra i 50 e i 60 anni, gli uomini guadagnano in media più di 23.000 euro rispetto alle colleghe donne, fenomeno molto marcato tra i notai, i commercialisti e gli avvocati. Più attenuato il differenziale maschi-femmine nelle fasce più giovani e tra le professioni non ordinistiche, dove nel 2020 il reddito medio degli uomini supera quello delle colleghe di circa 5.600 euro.

Secondo i dati Istat elaborati dal VI Rapporto sulle libere professioni, negli ultimi anni in Italia si è passati dai 172.000 laureati del 2001 ai 345.000 del 2020: una variazione del +101%. A crescere, di conseguenza, è anche il numero di lavoratori in possesso della laurea. La crescita occupazionale dei laureati si è tradotta in un aumento molto sostenuto del lavoro dipendente (+34,3%, pari a oltre 1 milione di posti di lavoro in più in 8 anni) ma anche in un incremento deciso del lavoro indipendente (+24,1%, pari a circa 275.000 unità di lavoro aggiuntive). Le discipline più gettonate sono Scienze motorie, Informatica e Tecnologie Ict e ingegneria industriale, mentre crollano architettura, ingegneria civile e giurisprudenza.

Se da un lato sale il numero di laureati, la libera professione attrae però sempre meno giovani. Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio di Confprofessioni, tra il 2010 e il 2019 i giovani che hanno ottenuto l’abilitazione per la libera professione è passato da 59.865 a 49.843, con un crollo di oltre il 16%. Una battuta d’arresto che coinvolge in particolare le professioni tecniche, ma anche commercialisti, notai e avvocati. E che si accentua ancora nel 2020 dove mancano all’appello circa 3.000 under 35.

La pandemia ha costretto tutti i settori a ripensare le forme di organizzazione del lavoro. Anche i professionistihanno dovuto fare i conti con le nuove modalità di lavoro flessibile. Un approfondimento specifico del “VI Rapportosulle libere professioni in Italia” è dedicato a questo argomento. Emerge che l’utilizzo del lavoro da remoto nella fase della pandemia ha interessato la maggioranza degli studi professionali (58%). All’incirca un terzo dei liberi professionisti vi ha fatto ricorso limitatamente al periodo di confinamento, mentre il 25% degli intervistati dichiara di continuare a utilizzare ancora il lavoro da remoto.

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