A ritiro compiuto, si può tranquillamente affermare che quella dall’Afghanistan è stata una vergognosa fuga delle truppe americane e dei paesi europei da un territorio, il fallimento di “Sleepy” Joe Biden e della presenza degli occidentali durata vent’anni che si tocca con mano, specie nelle zone rurali del paese, dove pare non esserci stato alcun cambiamento, tanto che proprio nelle aree periferiche è stato lo stesso esercito afghano, faticosamente costruito dagli occidentali, a cambiare cavallo e a buttarsi tra le braccia dei talebani che ringraziano sentitamente.
E a gettare in cattiva luce la fuga finale degli americani (e degli europei) c’è anche un fatto forse minore, ma estremamente esemplificativo: l’aver abbandonato, oltre a numerosi collaboratori afghani, armi sofisticate e mezzi logistici resi inutilizzabili (ma per quanto?), pure decine di canipoliziotto, lasciati nelle loro gabbie privi di cibo ed acqua. Un comportamento indegno, dopo che i più fedeli amici hanno servito i loro compagni, spesso tenendoli indenni da possibile morte.
A dettare le mosse degli americani, oltre alla voglia di dare un taglio ad una presenza durata vent’anni e una montagna di miliardi di dollari, pare che ci sia altro, ad iniziare dagli assetti geo energetici dell’area che vedono proprio gli americani e i loro bracci economici decisamente interessati ad un nuovo assetto dell’area che va dall’Iran all’India passando per Afghanistan e Pakistan. A fare la differenza potrebbe essere il gasdotto Tapi, che dovrebbe trasportare il gas naturale dal Turkmenistan attraverso l’Afghanistan, il Pakistan e l’India, considerato il vessillo di una nuova era per l’Asia Centrale.
Notevoli saranno i relativi guadagni per chi controllerà il territorio afghano direttamente come i talebani o indirettamente come i suoi alleati, ad iniziare dalla Cina che già impiega l’Afghanistan come terra di passaggio per la Bri (Belt and Road Iniziative) ed un maggiore coinvolgimento di Pechino nella nuova politica afghana consentirebbe alla Cina di creare una sorta di autostrada fino al Mar Arabico.
In questo contesto, soprattutto l’Europa deve stare attenta, perché la Turchia, una spina nel fianco dell’Unione Europea, potrebbe giocare le sue cartee ambire da diventare una sorta di hub energetico dove si incrociano e si smista il gas naturale proveniente dai giacimenti dell’Asia centrale. Uno scenario che consegnerebbe nelle mani di Erodgan un’arma strategica formidabile, rafforzandone il suo ruolo nel Mediterraneo, ai danni soprattutto dell’Italia e della sua tragicomica politica dimaiana in Libia, Tunisia e in Egitto.
Ecco come la graffiante matita di Domenico La Cava interpreta la situazione.
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