Mentre la Commissione UE approva il “Fit for 55” e annuncia lo stop dal 2035 a tutti i motori a combustione interna, compresi ibridi e plug-in, i dati del mercato auto europeo di giugno indicano un calo delle immatricolazioni del 14% rispetto a giugno 2019 (e un contenuto aumento del 13,3% su giugno 2020), che fa salire a 1.941.288 la perdita di vetture nei primi sei mesi del 2021 (-23%) rispetto al livello pre-pandemia del 2019. In cifre assolute, a giugno 2021 sono state registrate 1.282.503 nuove auto nei 31 paesi europei (UE+UK+EFTA) contro 1.491.465 di giugno 2019. In sei mesi il totale delle immatricolazioni è pari a 6.486.351 unità, ma erano 8.427.639 nel periodo gennaio-giugno 2019.
Il piano per il clima della Commissione UE “Fit for 55”, con l’obiettivo di ridurre del 55% le emissioni di CO2 entro il 2035, ha suscitato l’allarme occupazione nei paesi produttori: solo in Francia si stima la perdita di 100.000 posti di lavoro legati ai motori termici. E altrettanti se non di più sono attesi in Italia, dove è molto forte la componentistica che fornisce quasi tutte le case europee.
«Lascia perplessi che, da un lato, in Europa si dichiari il massimo ma esclusivo supporto alla mobilità elettrica per i veicoli di nuova immatricolazione, mentre dall’altro ci sia la totale inosservanza del principio di neutralità tecnologica: quel grande malato che è il parco veicolare circolante in Europa, e particolarmente in Italia, ha invece bisogno di un mix di soluzioni molto più ampio, che affronti i problemi con pragmatismo e senza ideologie, puntando alla massimizzazione dei risultati nel minor tempo possibile – afferma il direttore generale dell’UNRAE, Andrea Cardinali -. Un primo passo che l’Italia può fare verso l’obiettivo della UE, è rendere strutturale l’Ecobonus». Ma soprattutto lo sarebbe il riportare in Europa l’auto aziendale italiana, che da oltre trent’anni deroga al trattamento fiscale europeo della completa deducibilità dell’Iva e del costo d’acquisto e di gestione che darebbe una sostanziale mano a rivitalizzare il mercato auto.
Più netta la posizione di Paolo Scudieri, presidente Anfia, «i 5 principali mercati continentali, incluso UK, rappresentano il 72% del totale immatricolato a giugno e l’Italia cede un’ulteriore posizione nella classifica per volumi, diventando il quarto mercato auto dopo Germania, Francia e UK. Tutti e 5 i Paesi chiudono il mese con un segno positivo eccetto la Francia, che presenta una contrazione di mercato del 14,7% rispetto a giugno 2020, quando, al contrario, era stato l’unico dei major market a registrare un primo recupero, grazie alle misure di incentivazione all’epoca da poco introdotte».
«In un momento già difficoltoso, in cui mercato auto e filiera produttiva devono poter contare su misure di sostegno alla domanda per ripartire e adeguarsi agli obiettivi europei di progressiva decarbonizzazione della mobilità, la recente proposta di inasprimento dei target di riduzione delle emissioni di CO2 per auto e i veicoli commerciali leggeri al 2030 e 2035 è fonte di grande preoccupazione, come già espresso da ANFIA e altre associazioni automotive europee. All’industria automotive è richiesto uno sforzo insostenibile – prosegue Scuderi – che mina la sopravvivenza di molte imprese della componentistica, necessitando, queste ultime, di un percorso di accompagnamento alla transizione produttiva, e non tiene conto dei pesantissimi impatti industriali, economici e sociali di scelte così ambiziose ecategoriche».
Se in casa Unrae (gli importatori in Italia delle auto di produzione estera) tutto sommato non si contesta lo scenario dell’elettrificazione spinta che vorrebbe imporre la Commissione europea vuoi anche perché tante case europee sono o di totale proprietà cinese o con una fortissima presenza nell’azionariato del Dragone, realtà che ha spinto da tempo sull’elettrico diventando un soggetto di fatto monopolista soprattutto per i componenti legati alla produzione delle batterie, dalla rappresentanza della filiera automotive italiana le preoccupazioni sono decisamente maggiori, non fosse altro per la presenza di una fortissima realtà legata alla componentistica necessaria per la produzione dei motori termici. In presenza di un piano come quello europeo, realtà come la “Motor valley” emiliana, come del resto ha evidenziato anche il ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, sono destinate all’esaurimento con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e la perdita di conoscenze e capacità tecnologiche invidiate nel mondo.
Il piano per il clima europeo non avrà vita facile, vuoi per i dubbi che tanti paesi stanno sollevando, vuoi per una più generale considerazione che l’Europa è responsabile solo di una minima, marginale parte (circa il 9% del totale globale) delle emissioni climalteranti, mentre un piano realistico dovrebbe mirare a coinvolgere i grandi paesi inquinatori, ad iniziare dalla Cina e India, che hanno già dichiarato ufficialmente che prima del 2050 loro non intendono ridurre le loro emissioni inquinanti, anzi le aumenteranno.
Se è solo l’Europa a volere fare la prima della classe facendo un’inutile ed ingiustificabile fuga in avanti, la Commissione europea dovrebbe seriamente chiedersi quanti rischi esporrebbe alla competitività globale – già a rischio – il proprio settore manifatturiero e la relativa occupazione. Senza considerare le conseguenze sul gettito tributario e sui costi sociali per una disoccupazione in crescita. Forze qualcuno a Bruxelles ha imbracciato le politiche della decrescita che da felice rischia di trasformarsi drammaticamente in infelice.
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