Con il Pnrr arriva una riforma di fatto della Costituzione italiana

Draghi delinea una serie di modalità di attuazione che limitano grandemente la capacità d’intervento della politica e della burocrazia.

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Vi ricordate tutte le varie proposte che si sono succedute nel tempo di modificare la Costituzione italiana, «la più bella del mondo» secondo una vulgata cara alle voci della sinistra? Modifiche finite ogni volta nel nulla. In un caso addirittura in un referendum costituzionale che è costato la poltrona di premier ad un giovane politico abbrembante e molto ambizioso quale Matteo Renzi.

Ora si assiste a una modifica di fatto della Costituzione con l’avvento del Piano nazionale di ripartenza e resilienza, il Pnrr, modifica che concentra nelle mani del premier Mario Draghi quelli che molti definiscono i super poteri, ovvero il diritto di dire l’ultima parola su tanti progetti finanziati dai circa 230 miliardi del Pnrr.

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Di fatto, si sta assistendo a una modifica silenziosa della Costituzione vigente, ad un’interpretazione estesa della Carta forse più ampia di quelle che gli ultimi presidenti della Repubblica hanno fatto, ultimo in ordine di tempo quel Giorgio Napolitano che per poco non ha fatto addirittura un colpo di stato brigando per abbattere un governo legittimamente eletto sostituendolo con il tristemente famoso governo Monti.

Andando a leggere il documento che detta le regole di gestione degli investimenti in arrivo con i fondi europei si evince che la musica in Italia è destinata a cambiare almeno per i prossimi 5 anni di valenza del Pnrr. Basta leggere l’articolo 2 del documento, dove si stabilisce che «è istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una cabina di regia per il Pnrr presieduta dal presidente del Consiglio dei ministri alla quale partecipano i ministri e sottosegretari di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri competenti». Fin qui tutto bene, ma il bello arriva nella frase successiva, dove si aggiunge «in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta». In pratica, la cabina di regia che ha ideato il premier Draghi ha una composizione variabile, un livello di governo ristretto a cui pochi ministri partecipano di volta in volta, a seconda delle loro competenze. E senza la pletora di tutti i ministri in rappresentanza delle varie forze politiche che spesso sfociano in veti e controveti.

Uniche persone fisse della cabina, oltre allo stesso Draghi, il ministro dell’Economia, il fedelissimo Franco. Un deciso cambio di passo, indispensabile se si vuole mettere a terra tutti i miliardi del Pnrr in tempo utile, pena il rischio di fare scattare le clausole che bloccano l’erogazione periodica dei fondi dopo ogni fase semestrale di controllo sull’attuazione del Piano. Dal 2021 al 2026 saranno anni di tregenda per l’azione politica e amministrativa, entrambi a trasformare in fatti puntuali e verificabili i miliardi dei prestiti e sovvenzioni.

Altro aspetto da non trascurare, il passaggio dell’articolo 13, che riguarda i cosiddetti poteri sostitutivi: «in caso di mancato rispetto da parte delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni degli obblighi degli impegni finalizzati dal Pnrr, consistente anche nella mancata adozione degli atti e provvedimenti necessari all’avvio dei progetti del piano, ovvero nel caso di ritardo, inerzia o difformità dell’esecuzione dei progetti, il presidente del Consiglio dei ministri ove sia messo anche solo potenzialmente a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del Piano assegna soggetto attuatore un termine per provvedere non superiore 15 giorni». E se in 15 giorni non succede niente perché le regioni, comuni, province, prendono tempo fanno melina come sempre accaduto in Italia, la cabina di regia si sostituisce in toto a loro.

Di fatto, per l’attuazione del Pnrr non ci sono mezze misure: si fa come dice Draghi o altrimenti si salta dalla finestra. Non ci sono altre soluzioni e, soprattutto, è interessante anche il successivo articolo 14 del Piano, laddove si parla di superamento del dissenso: «in caso di dissenso, diniego, opposizione o altro atto equivalente, il presidente del Consiglio sottopone la questione alla Consiglio dei ministri». E se anche qui non si trova l’accordo, decorsi 15 giorni in mancanza di soluzioni condivise che consentono di arrivare alla fine dell’opera, il presidente del Consiglio tira dritto esercitando poteri sostitutivi.

Una rivoluzione non da poco per la burocrazia italiana anche in considerazione del fatto che le tutte le varie pastoie della Valutazione di impatto ambientale vedranno grandemente ridotte le loro potenzialità tanto che entro 60 giorni dalla dall’inizio della Via, l’opera dovrà comunque partire.

L’Italia è alla vigilia di un fortissimo stiracchiamento della Costituzione italiana per superare l’indecisionismo della politica e dei tanti, troppi livelli decisionali: sarà un’autentica rivoluzione se riuscirà ad essere effettivamente attuata.

Ecco come la matita graffiante di Domenico La Cava interpreta la situazione.Pnrr

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