Sono ormai diversi anni che in Italia esiste la previdenza complementare che a poco a poco, dopo i primi anni di diffidenza da parte dei lavoratori, sta avendo adesso un ruolo importante nel panorama del sistema previdenziale italiano.
Bisogna fare però un passo indietro per ricordare che fino all’anno 1995 le pensioni in Italia venivano calcolate col sistema retributivo, che era molto più favorevole per i lavoratori. Poiché i costi per l’erario erano diventati insostenibili, il Governo Dini modificò tale conteggio istituendo dall’anno 1996 il sistema contributivo. Questo modo di calcolare l’assegno pensionistico è molto penalizzante per i lavoratori. Per fare un esempio un lavoratore che entra adesso nel mondo del lavoro dopo 40 anni di contribuzione si ritroverà un importo della pensione che arriverà al 50% della propria ultima retribuzione. Ecco allora la necessità di intervenire per integrare di circa il 25% la magra pensione pubblica. Per tale motivo è stata istituita la previdenza complementare che è stata definita “la seconda gamba del sistema previdenziale”.
Il sistema previdenziale funziona in questo modo. Il dipendente aderisce al fondo pensione dell’azienda trasferendo il b. Queste somme vengono investite in maniera prudenziale e alla fine della carriera lavorativa vengono riassegnate al dipendente sotto forma di assegno mensile. Questi sono i cosiddetti “fondi chiusi”. Esistono poi i “fondi aperti” che sono sottoscrivibili da chiunque, senza alcuna limitazione derivante dalla propria occupazione. Terza possibilità i PIP, Piani Individuali Pensionistici, che è una forma di previdenza integrativa privata gestita da compagnie assicurative.
Delle tre possibilità quella più conveniente è senza dubbio la prima quella dei “fondi chiusi” in quanto come sopra indicato il dipendente non fa sostanzialmente dei versamenti aggiuntivi ma destina il proprio TFR che negli anni sarà rivalutato.
I dati relativi all’anno 2020 sono confortanti. Nell’anno appena trascorso il totale delle posizioni si è incrementato di 235.000 unità arrivando a superare gli 8.400.000 iscritti. Anche perché andando a confrontare i rendimenti maturati si può notare che nel decennio 2011-2020 il rendimento dei fondi aperti è stato del 3,7%, quello dei fondi chiusi del 3,6% e infine i PIP hanno reso il 3,3% medio annuo. Confrontando questi dati con il vecchio TFR si nota quasi un raddoppio di rendimento da parte dei fondi rispetto all’1,8% medio annuo del TFR.
Altro aspetto importante è che tutti gli importi versati hanno una deducibilità fiscale fino a 5.164,57 euro annui. In pratica se si ha un’aliquota IRPEF del 27% si avrà nel modello 730 un rimborso annuo di 1.394 euro e se invece si ha un’aliquota IRPEF del 38% il rimborso annuo sarà di 1.962 euro.
Inoltre può essere chiesto un anticipo fino al 75% della posizione individuale maturata per particolari situazioni, come spese mediche urgenti o acquisto di “prima casa”. Analogo anticipo può essere chiesto fino al b di quanto maturato, ma solamente dopo otto anni di adesione, senza dover necessariamente documentare le spese.
Questi sono due aspetti a mio parere che dovrebbero essere ulteriormente implementati per incentivare queste adesioni che lo ricordiamo sono assolutamente volontarie. Per esempio consentendo una deducibilità del 50% di quanto versato e dando maggiori possibilità di accedere alla propria posizione ritirando una parte di quanto versato per le proprie esigenze. Inoltre, poiché si tratta di importi faticosamente versati dai cittadini eserciterei un controllo da parte di un istituto pubblico in aggiunta a quello attualmente esercitato dal Covip (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione).
E’ auspicabile, pertanto, che i neo assunti e anche coloro i quali già lavorano accedono il prima possibile a questo istituto in modo da poter ricevere dopo tanti anni di lavoro un assegno che possa permettere un sereno e dignitoso pensionamento.
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