Capannoni, stangata Imu con aumenti fino al 154% rispetto all’Ici

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giuseppe bortolussi cgia mestre 1L’86% dei Comuni capoluogo di provincia ha applicato un aliquota superiore rispetto a quella ordinaria stabilita per legge al 7,6‰. Un Comune su tre ha applicato l’aliquota massima del 10,6‰. Bortolussi: “Il Governo ha tempo sino al 10 dicembre per abbassare le aliquote. Lo faccia altrimenti molte piccole imprese si troveranno in difficoltà”

Sulle imprese (e non solo su quelle) è iniziato il conto alla rovescia per la stangata Imu: quella che si pagherà sui capannoni costerà agli imprenditori fino al 154,4% in più rispetto a quanto pagavano con l’Ici. Una vera e propria stangata che emerge da un’analisi condotta dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre. I più tartassati saranno gli imprenditori che esercitano l’attività nel comune di Milano: il maggior prelievo imposto nel capoluogo lombardo è del 154,4% (pari ad un aumento medio di 2.331 euro). Male anche per quelli che fanno impresa nel comune di Lucca e di Lecce: in entrambi i casi l’incremento è del 131,3%. Rispetto al 2011, gli imprenditori lucchesi pagheranno 1.158 euro in più, quelli salentini subiranno un aggravio di ben 2.501 euro.

Su 98 comuni capoluogo di provincia monitorati dalla Cgia, solo l’amministrazione di Asti ha diminuito di un punto l’aliquota ordinaria (prevista per legge al 7,6‰), 13 comuni hanno mantenuto quella base del 7,6‰, mentre gli altri 84 (pari all’85,7% del totale) l’hanno aumentata. Tra questi ultimi, ben 33 (pari al 33,6% del totale dei comuni analizzati) ha portato l’aliquota Imu sui capannoni al valore massimo consentito dalla legge: 10,6‰.

Quali sono le ragioni di questi aumenti di imposta, che a livello medio nazionale si attesteranno attorno al 67%, pari ad un maggior aggravio per le imprese ubicate nei Comuni capoluogo di provincia di 1.402 euro? Innanzitutto, va registrato che l’aliquota Ici media nazionale applicata nel 2011 dai comuni capoluogo di provincia sui capannoni industriali era del 6,71‰. Quella dell’Imu, invece, sale quest’anno al 9,33‰. Secondo la Cgia, con il decreto “Salva Italia” sono stati rivalutati i coefficienti moltiplicatori che vengono applicati alle rendite catastali. Per i negozi e le botteghe sono passati da 34 a 55, per gli uffici e gli studi privati da 50 a 80, per i laboratori artigianali da 100 a 140 e per i capannoni industriali e gli alberghi da 50 a 60. Infine, non va trascurato nemmeno il comportamento tenuto dai sindaci che, in generale, hanno mantenuto l’aliquota ordinaria del 4‰ sulla prima casa, cercando così di non penalizzare troppo le famiglie, ma l’hanno ritoccata enormemente all’insù sulle seconde case e sulle attività produttive/commerciali.

“In una fase economica in cui i consumi sono in forte contrazione, il credito continua ad essere erogato con il contagocce e le tasse continuano ad aumentare – commenta Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia – auspico che il Governo, visto che la legge gli dà la possibilità di farlo entro il 10 dicembre, riveda al ribasso le aliquote dell’Imu per le attività produttive, altrimenti corriamo il pericolo che molte piccole aziende chiudano i battenti e finiscano a lavorare in nero. Non dimentichiamo – conclude Bortolussi – che nella stragrande maggioranza dei casi gli imprenditori pagheranno l’imposta municipale due volte. Una come proprietari di prima casa e l’altra come proprietari di immobili ad uso commerciale o produttivo. Visti gli aumenti introdotti quest’anno, ho il timore che molti piccoli artigiani e piccoli industriali si troveranno in grosse difficoltà a versare il saldo previsto entro il prossimo 17 dicembre”.