Il comparto dell’auto rischia di essere cornuto e mazziato con l’arrivo di una sovrattassa per le nuove auto. Nonostante un fisco opprimente e un mercato nazionale in calo che necessiterebbe di essere rilanciato con una minore tassazione globale e minore burocrazia, ecco che il Parlamento nella sua stramba sovranità si appresta a lanciare nella Finanziaria 2019 un nuovo giro fiscale sull’auto nuova.
L’approvazione di un emendamento alla legge di bilancio 2019 da parte della Commissione bilancio, praticamente su tutte le auto nuove graverà una nuova tassa aggiuntiva legata alle emissioni, Fiat Panda compresa. Il tutto in cambio di una manciata di contributi solo per l’auto ad emissioni zero o bassissime che andranno a vantaggio solo di chi acquista auto da almeno 30.000 euro in su, penalizzando quelli che ne acquistano una da 15-20.000 che è la fascia media del mercato italiano.
La misura propone di applicare, già dal 1° gennaio 2019 e fino a fine 2021, un’imposta crescente – da 150 a 3.000 Euro – all’immatricolazione di auto nuove con emissioni di CO2 superiori ai 110 g/km. Parallelamente, prevede un incentivo – da 6.000 a 1.500 Euro – all’acquisto di veicoli con emissioni tra 0 e 90 g/km di CO2.
Secondo Anfia (la filiera dell’automotive italiana) «un provvedimento come questo colpisce la filiera industriale italiana che si è impegnata ad investire nell’elettrificazione e mette in difficoltà gli operatori e il mercato, andando esattamente nella direzione opposta rispetto all’attenzione dichiarata ieri nei confronti di un comparto chiave per il Paese».
Se si prende ad esempio il modello più venduto in Italia, la Panda prodotta a Pomigliano, comunque tra le vetture non ibride con le più basse emissioni di CO2, con il nuovo sistema pagherebbe un’imposta che varia dai 400 ai 1000 euro a seconda della potenza del motore e del tipo di motorizzazione. Di più: anche molte utilitarie a gas, veicoli ad alimentazione alternativa, oltre a non avere nessun bonus, rischierebbero di pagare un malus di 150 euro.
Secondo Anfia «una misura così strutturata, oltre a rallentare il rinnovo dell’obsoleto parco circolante, penalizza le classi sociali con minore capacità di acquisto delle nuove tecnologie».
In un mercato che va sempre più verso veicoli monovolume o Suv, tendenzialmente pesanti e con consumi più alti della media, il risultato è che il settore dell’auto sarà nuovamente mazzolato dall’ennesima, assurda tassazione di cui nessuno sente il bisogno. Poi, da una siffatta tassazione, il beneficio per lo Stato è addirittura negativo, in quanto è regressivo e rischia di generare più disoccupazione e oneri per l’assistenza che gettito fiscale e minori emissioni inquinanti.
Secondo Unrae e Federauto, il malus riguarderebbe un’auto nuova su due. Una prima stima delle associazioni delle Case estere e dei concessionari italiani, “a bocce ferme”, cioè ipotizzando un impatto nullo sulle scelte d’acquisto, «prendendo a riferimento le immatricolazioni dei primi 11 mesi del 2018 le nuova norma provocherebbe un extragettito per lo Stato di appena 350-370 milioni di euro. Il 49% degli acquirenti di auto nuove pagherebbe la nuova imposta, il 38% non ne sarebbe coinvolto (auto con emissioni di CO2 comprese tra 110 e 120 g/km), l’8%, invece, avrebbe diritto al bonus. In pratica – spiegano Michele Crisci, presidente di Unrae, e Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto -, l’incentivo basterebbe a malapena a soddisfare la domanda esistente, premiando, di fatto, persone già intenzionate ad acquistare vetture a basse o bassissime emissioni o che le acquisterebbero comunque». Con un effetto leva minimo o addirittura nullo. Un autogol per lo Stato.
Una sovrattassa per le nuove auto finirebbe con l’abbassare il valore medio del mercato italiano, spingendolo verso veicoli di costo (ed emissioni) inferiori. «Un calo del 4% del valore attuale del mercato – spiegano Crisci e De Stefani Cosentino – neutralizzerebbe la manovra in termini di minore gettito Iva, Ipt e tassa automobilistica. Ma se il rallentamento fosse superiore (e in termini di valore potrebbe davvero esserlo visto che il provvedimento penalizza le macchine più costose e con le emissioni maggiori) lo Stato e gli enti locali ci rimetterebbero».
«È un provvedimento paradossale – evidenziano Crisci e De Stefani Cosentino -. Penalizzando le immatricolazioni di auto nuove, quelle che non solo inquinano meno, ma che sono anche più sicure, si rallenta il rinnovo del parco circolante. Un effetto contrario a ciò di cui, invece, ci sarebbe bisogno. Oltretutto, la parte bonus, cioè l’incentivo alle elettriche, avrà ben poco effetto visto che non vi sono infrastrutture per la ricarica. Quante cose buone, invece, si potrebbero fare se si destinassero 300 milioni all’anno proprio alle infrastrutture? Quando si interviene su un settore importante, dal punto di vista economico e fiscale, come quello dell’auto – concludono Crisci e De Stefani Cosentino – sarebbe bene sentire chi quel settore lo conosce e ne comprende le dinamiche».
Già, difficile dare loro torto. E quanto a Di Maio, farebbe meglio a trovare la “manina” che ha proposto il provvedimento e tagliarla di netto.
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