L’Istat gela le velleità del governo M5s-Lega di crescita dell’economia nazionale, evidenziando come nel terzo trimestre del 2018 il prodotto interno lordo (Pil), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2010, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, sia rimasto invariato rispetto al trimestre precedente. Il tasso tendenziale di crescita è pari allo 0,8%.
Il terzo trimestre del 2018 ha avuto due giornate lavorative in più rispetto al trimestre precedente e lo stesso numero rispetto al terzo trimestre del 2017. La variazione congiunturale è la sintesi di un aumento del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura, silvicolturae pesca e dei servizi e di una diminuzione in quello dell’industria. Dal lato della domanda, la stima provvisoria indica un contributo nullo sia della componente nazionale (al lordo delle scorte), sia della componente estera netta.
La variazione acquisita per il 2018 è pari a +1,0% e se l’andamento del IV trimestre sarà quello già indicato negli ultimi due trimestri, la chiusura dell’anno sarà al di sotto dell’1% e ben più basso dell’1,2% contenuto nei documenti previsionali del governo italiano.
Di fatto, l’attuale fase di crescita, iniziata a cavallo tra il 2014 e il 2015, aveva già mostrato segnali di decelerazione e nel trimestre luglio-settembre 2018 si è arrestata. Incide pesantemente sul risultato la frenata della produzione industriale che è un aggregato di grande importanza per un Paese, come l’Italia, che dispone del secondo apparato manifatturiero d’Europa. La produzione industriale italiana, che nella crisi iniziata a cavallo tra il 2007 e il 2008 aveva fatto registrare un calo massimo del 26,2%, era in lentissima risalita dal 2015. Con la stagnazione del 2018 rispetto ai livelli ante-crisi vi è ancora un gap del 18,5%, mentre per il Pil il calo da recuperare è ancora del 4,9%.
Secondo l’ufficio studi di Banca Intesa Sanpaolo, il risultato del Pil bloccato sullo zero del III trimestre 2018 non accadeva dal 2014, dando un ulteriore segnale negativo di stagnazione dell’economa italiana che getta ombre molto scure sulla manovra economicadel 2019 in corso di allestimento dal governo M5s-Lega. A differenza che nella prima metà dell’anno, i servizi e la domanda domestica non sono riusciti a più che compensare l’attesa debolezza dell’industria e del commercio estero. La crescita nel 2018, secondo l’analisi di Intesa Sanpaolo «non andrà oltre l’1%, e il dato aggiunge rischi al ribasso anche sulla nostra previsione di 0,9% per l’anno prossimo (già inferiore al consenso)».
I due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio devono fare un bagno di umiltà e capire che le roboanti promesse elettorali con cui ciascuno ha vinto la campagna elettorale devono essere messe nel cassetto e rimandate a tempi migliori e in parte pare che ciò sia già accaduto con l’inserimento dei due provvedimenti bandiera (lo smantellamento della riforma delle pensioni e il reddito di cittadinanza) che costano circa 19 miliardi di euro in due provvedimenti separati dalla legge di bilancio 2019, in modo da farli entrare in vigore anche qualche mese dopo l’inizio dell’anno. Se i due ascari del governo Conte vogliono effettivamente rilanciare il Paese la ricetta è praticamente obbligata: deciso taglio delle tasse per imprese e famiglie e rilancio degli investimenti pubblici, ad iniziare dalle infrastrutture di base. Quando il Paese avrà ingranato su una ripresa solida e consistente, allora i due vicepremier potranno passare all’incasso e alla spesa clientelare. Non prima.
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