Studio della Cgia che giudica eccessivo anche il carico gravante sugli immobili aziendali
Il 18 giugno prossimo scade il termine per il pagamento della prima rata dell’Imu per i privati e le aziende. A poche ore dal termine, fioccano gli studi e le proiezioni su quanto il nuovo balzello peserà sulle tasche delle famiglie e delle imprese.
Per l’Ufficio studio della Cgia di Mestre, l’Imu l’anno scorso non solo non si applicava sulla prima casa, ma gli effetti economici dell’Ici sulle seconde e terze case erano mediamente più leggeri rispetto a quanto si dovrà pagare con l’Imu. Risultato dell’aggravio voluto dal Governo Monti con la manovra “Salva Italia” dello scorso dicembre è che per l’anno in corso la sostituzione dell’Ici con l’Imu comporterà un maggiore aggravio fiscale per le famiglie italiane pari a 6,2 miliardi di euro.
“Una stangata – sottolinea Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia – che rischia di deprimere ancor più i consumi delle famiglie che già oggi sono ridotti al lumicino”.
Secondo i calcoli effettuati dall’organizzazione artigiana che ha stimato quanto hanno incassato l’anno scorso i comuni italiani con l’applicazione dell’Ici sulle seconde e altre abitazioni (pari ad un importo che si aggira sui 3,15 miliardi di euro) e il gettito previsto quest’anno con l’applicazione dell’Imu, il gettito complessivo sulle abitazioni dovrebbe garantire all’Erario e ai Comuni italiani 9,3 miliardi di euro: 3,4 miliardi provenienti dall’applicazione dell’imposta sulla prima casa (interamente devoluto all’erario centrale) e 5,9 miliardi di euro dalle altre abitazioni (a metà tra erario statale e le casse dei singoli comuni).
Per Bortolussi “se si tiene conto che anche chi rateizzerà il pagamento dell’imposta sulla prima casa si troverà a versare il saldo sotto Natale, corriamo il rischio che una buona parte delle tredicesime se ne andrà per il pagamento di tasse e bollette. Una notizia che non farà certo piacere a quei commercianti ed artigiani che aspettano con trepidazione il periodo natalizio per rimpinguare il proprio fatturato annuo”. Questo non è tutto: “è molto probabile – conclude Bortolussi – che il gettito Imu da noi ipotizzato sia sottostimato, visto che buona parte dei Comuni sta ritoccando all’insù l’aliquota ordinaria soprattutto sulle seconde e terze case”.
Per gli immobili artigiani la situazione è anche peggiore: sempre secondo la Cgia, la stangata supererà addirittura i 1.500 euro all’anno. L’Imu sulle imprese pesa troppo e rischia di mettere in seria difficoltà intere filiere produttive. Per Bortolussi “quest’anno l’introduzione dell’Imu comporterà un aumento medio delle imposte sui fabbricati a carico delle attività economiche pari a 1.159 euro. Un aggravio fiscale che rischia di mettere in ginocchio molte piccole imprese”.
Per fare questo confronto, si è ipotizzato che l’aliquota Imu – applicata agli uffici, ai negozi commerciali o ai capannoni produttivi presenti su tutto il territorio nazionale – sia del 7,6 per mille. Per l’Ici, invece, si è deciso di far ricorso all’aliquota media nazionale applicata dai Comuni nel 2009: ovvero il 6,4 per mille. Inoltre, si è tenuto conto anche della rivalutazione dei coefficienti moltiplicatori che vengono applicati alle rendite catastali che, per effetto del decreto “Salva-Italia”, sono passati da 34 a 55 per i negozi e le botteghe, da 50 a 80 per gli uffici e gli studi privati, da 100 a 140 per i laboratori artigianali e da 50 a 60 per i capannoni industriali e gli alberghi.
Prendendo in considerazione solo gli immobili produttivi di proprietà delle aziende – anche se tra quelli di proprietà delle persone fisiche ci sono molti piccoli imprenditori artigiani, commercianti o liberi professionisti – l’applicazione dell’Imu, rispetto all’applicazione dell’Ici, darà luogo ad un aggravio della tassazione così suddiviso: 569 euro pro azienda in capo a negozi e botteghe; 949 € per ciascun proprietario di ufficio o studio privato; 1.566 € su ogni capannone industriale/artigianale. “Il risultato di questa simulazione – conclude Giuseppe Bortolussi – è condizionato dalla scelta dell’aliquota da applicare su tutta la platea degli immobili ad uso strumentale presenti nel Paese. La decisione di far coincidere l’aliquota applicata in questo caso/studio con quella ordinaria del 7,6 per mille, ci è sembrata la più equilibrata. Il risultato emerso da questa elaborazione ha confermato la grande preoccupazione sollevata in questi giorni da molti osservatori: se non saranno introdotte delle modifiche applicative, le imprese ed i liberi professionisti subiranno un aggravio, che potrebbe anche crescere di molto se i comuni porteranno l’aliquota al massimo di quanto consentito”.