Crisi del gas, l’Italia in 10 anni ha dimezzato la produzione nazionale nonostante un potenziale in crescita

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Nanni (Roca): «il Paese sfrutti meglio i giacimenti dell’Adriatico» 

piattaforma off shore petrolio gasLa recente crisi del gas causata da un incidente alla stazione di compressione di Baumgarten, in Austria, ma frenata dalle disponibilità dei depositi di stoccaggio nazionali, ha messo in luce l’eccessiva dipendenza dell’Italia dalle forniture russe via gasdotto. Eppure, secondo Franco Nanni, presidente del Roca (Ravenna offshore contractors association), associazione di imprese attive nel settore petrolio e gas nel distretto di Ravenna, nel Paese esiste un grande potenziale ad oggi non sfruttato.

«Mentre nel 2006 venivano prodotti sul territorio nazionale 10 miliardi di metri cubi di gas sugli 86 miliardi consumati annualmente – evidenzia Nanni -, nel 2016 la produzione interna è scesa a 5,7 miliardi di metri cubi, su un consumo complessivo di 71 miliardi di metri cubi». Praticamente dimezzata nel giro di dieci anni. Ma secondo le stime dell’Ufficio minerario, le riserve accertate di gas in territorio italiano ammontano a 130 miliardi di metri cubi con un potenziale aggiuntivo tra 120 e 200 miliardi, per un valore tra 75 e 100 miliardi di euro, «somme su cui – ricorda Nanni – lo Stato o le Regioni potrebbero incassare almeno il 7% di royalties e il 40% di tasse». 

Per sostenere e far crescere la produzione nazionale servono investimenti: «nel suo piano industriale 2017-2020 l’Eni ha inserito 2 miliardi per mantenere in Adriatico l’attuale livello di produzione di gas, pari a 53.000 barili di olio equivalente al giorno, che senza questo intervento calerebbe del 25%», ma con un ulteriore potenziamento l’area potrebbe raddoppiare la produzione entro il 2020. 

Fondamentali, però, sono procedure più rapide: «oggi lo Stato Italiano impiega 50 mesi per rilasciare autorizzazioni operative, quando la legge ne prevedrebbe solo 15 (in Norvegia bastano 6 mesi). Gli operatori hanno chiesto di scendere almeno a 35 mesi». Anche perché, conclude Nanni, l’inquinamento generato delle attività estrattive (aspetto sempre sbandierato dagli ambientalisti per ostacolare ogni attività) è quasi nullo, «pari allo 0,1% del totale, mentre il 60% deriva da scarichi civili e industriali e il 40% dai fumi delle navi».