Conti pubblici: per Unimpresa esiste una mina derivati da 40 miliardi (+22%)

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Intanto, nell’aggiornamento del Def si scopre l’innalzamento del debito pubblico di 10 miliardi di euro per evitare gli aumenti di Iva e accise

euro soldi biglietto 500 euriE’ sera inoltrata quando il governo Gentiloni presenta l’anteprima della manovra 2018, dove si preannuncia una crescita del Pil superiore alle stime finora effettuate, cosa che comporta un maggiore margine di manovra, oltre l’impegno per il disinnesco delle clausole di salvaguardia decise nelle manovre precedenti che porterebbero l’Iva dal 22 al 25% e l’incremento generalizzato delle accise, finanziato con la crescita del debito pubblico di 10 miliardi di euro invece che con tagli all’ingentissima spesa pubblica.

Ma si tace sulla mina derivati da quasi 40 miliardi di euro sui conti pubblici italiani portata alla luce dall’Ufficio studi di Unimpresa, secondo cui i titoli derivati presenti sui bilanci dello Stato centrale e degli enti locali ammontano a oltre 39 miliardi. Il dato, registrato a fine 2016, è in aumento di 7 miliardi (+22%) rispetto ai 32 miliardi di fine 2015. Nell’ultimo anno i titoli altamente speculativi sono calati, invece, nell’interno comparto privato (banche, assicurazioni, fondi), ma resta comunque enorme l’ammontare di titoli tossici: nelle banche il calo è stato di 14 miliardi e nelle assicurazioni di 1,2 miliardi; nelle aziende si è registrata una diminuzione di 552 milioni, mentre per quanto riguarda le singole famiglie c’è una riduzione di 28 milioni di euro. In totale, la massa di derivati finanziari presenti in Italia è pari a 242 miliardi in calo di quasi 10 miliardi (-3%) rispetto ai 252 miliardi di fine 2015. 

Secondo lo studio di Unimpresa, basato su dati della Banca d’Italia, l’ammontare complessivo delle perdite potenziali derivati finanziari in Italia è passato dai 252,01 miliardi del 2015 ai 242,3 miliardi del 2016, con una contrazione di 9,6 miliardi (-3,83%). I dati si riferiscono alle passività sui bilanci, vale a dire le operazioni potenzialmente in perdita. Si osserva una divergenza netta tra il settore pubblico e quello privato. Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, i derivati in perdita sono cresciuti di 7,03 miliardi (+21,94%) da 32,05 miliardi a 39,09 miliardi: sono aumentati sia i derivati dello Stato centrale, passati da 30,9 miliardi a 37,8 miliardi con un incremento di 6,8 miliardi (+22,25%), sia i derivati degli enti locali, passati da 1,1 miliardi a 1,2 miliardi in crescita di 152 milioni (+13,37%).

Per quanto riguarda i privati, si è invece registrata una diminuzione complessiva di 16,6 miliardi (-7,59%) da 219,9 miliardi a 203,2 miliardi. I derivati in perdita presenti sui bilanci delle aziende sono calati di 551 milioni (-3,73%) da 14,7 miliardi a 14,2 miliardi, quelli delle banche sono arretrati di 14,1 miliardi (-7,12%) da 199,3 miliardi a 185,1 miliardi, quelli dei fondi sono scesi di 701 milioni (-16,35%) da 4,2 miliardi a 3,5 miliardi, quelli delle assicurazioni e dei fondi pensione sono calati di 1,2 miliardi (-83,72%) da 1,4 miliardi a 236 milioni. In calo anche la piccola quota di derivati “in mano” alle famiglie che sui loro bilanci hanno perdite potenziali per 50 milioni in calo di 28 milioni (-35,90%) rispetto ai 78 milioni di un anno fa.

«L’incremento della perdite potenziali legate alla finanza spericolata, sui conti pubblici, è assai preoccupante. Si tratta di un andamento che merita attenzione e pure qualche spiegazione da parte di chi ha in mano le chiavi della finanza statale e locale – commenta il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci -. Quel che preoccupa, soprattutto, è la tendenza: dopo un periodo in cui erano state registrate diminuzioni dell’utilizzo della finanza derivata nello Stato, ora le perdite potenziali legate a quel tipo di operazioni tornano a crescere».

La stessa Unimpresa per bocca della sua presidente Giovanna Ferrara commenta a caldo i contenuti della manovra appena presentata: «lo stop alle clausole Iva è una spudorata partita di giro. Il congelamento degli aumenti della tassa sui consumi nel 2018 sarà coperto con maggior deficit per 10 miliardi di euro. E questo vuol dire più debito che farà scattare inevitabilmente più tasse per famiglie e imprese: non ci sarà un immediato rincaro dei prezzi provocato dall’innalzamento dell’aliquota dal 22% al 25%, ma ci sarà senza dubbio un aggravio di altri balzelli per poter far fronte all’ennesima manovra in deficit che farà allargare la voragine nei conti pubblici del nostro Paese».