Rifiuti: per famiglie e imprese un costo da 9 miliardi l’anno

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CRM provo Villazzano rifiuti abbandonati 1
Il costo del servizio continua a salire. Gli aumenti che interesseranno le attività produttive doppieranno l’inflazione 

CRM provo Villazzano rifiuti abbandonati 1In Italia è caro rifiuti: tra il 2017 e il 2016, i negozi di frutta, i bar, i ristoranti, gli alberghi e le botteghe artigiane subiranno un aumento della tariffa di nettezza urbana oscillante tra il 2% e il 2,6%. Per le famiglie, invece, l’incremento sarà leggermente più contenuto. Per un nucleo con 2 componenti la maggiore spesa sarà del 2%, con 3 dell’1,9% e con 4 dello 0,9%. Per l’anno in corso, viceversa, l’inflazione è prevista in aumento dell’1,2%.

Si continua a pagare di più, nonostante la produzione dei rifiuti abbia subito in questi ultimi anni di crisi una contrazione di 3 milioni di tonnellate, l’incidenza della raccolta differenziata sia aumentata di 20 punti percentuali e la qualità del servizio non abbia registrato alcun miglioramento. Anzi, in molte grandi aree urbane del paese è addirittura peggiorata. 

«Fintantochè non arriveremo alla definizione dei costi standard – afferma Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre – possiamo affermare con buona approssimazione che con il pagamento della bolletta non copriamo solo i costi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, ma anche le inefficienze e gli sprechi del sistema. Ricordo che secondo l’Antitrust tra le oltre 10.000 società controllate o partecipate dagli enti locali che forniscono servizi pubblici, tra cui anche la raccolta dei rifiuti, il 30% circa sono stabilmente in perdita. Una cattiva gestione che la politica locale non è ancora riuscita a risolvere». 

Sebbene in questi ultimi 2 anni il Governo abbia imposto l’obbligo di non aumentare le tasse locali, gli amministratori si sono “difesi” tagliando i servizi e/o aumentando le tariffe che, per loro natura, non contribuiscono ad appesantire la pressione fiscale, anche se hanno un impatto molto negativo sui bilanci di famiglie e imprese. Nel corso degli ultimi anni sono state numerose le novità che hanno riguardato il prelievo dei rifiuti: si è passati dalla Tarsu (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) alla Tia (Tariffa di igiene ambientale); nel 2013 ha fatto il suo debutto la Tares (Tassa rifiuti e servizi) e dal 2014, infine, tutti i comuni applicano la Tari (Tassa sui rifiuti). Quest’ultima tassa si basa sul principio stabilito dall’Ue che “chi inquina paga”, confermando il legame tra la produzione dei rifiuti e l’ammontare del tributo. Rispetto alla Tarsu, le successive forme di prelievo sono andate nella direzione di coprire integralmente il costo del servizio. Con la Tia questa previsione era stata prorogata e mitigata, mentre con la Tares prima e la Tari poi, questa prescrizione è stata resa operativa.

L’applicazione di questo principio si è tradotto in un forte incremento dei costi per gli utenti. I risultati riportati più sopra sono stati ottenuti considerando le superfici medie definite dall’Istat di alcune tipologie di immobili strumentali presenti nel paese. Le tariffe, invece, sono quelle medie applicate dai principali comuni capoluogo di regione. Con l’introduzione della Tari è stato ulteriormente confermato l’assunto che il costo del servizio in capo all’azienda che raccoglie i rifiuti dev’essere interamente coperto dagli utenti, attraverso il pagamento del tributo. E il problema, purtroppo, sta proprio in questo principio. Le aziende di asporto rifiuti, di fatto, operano in condizioni di monopolio, con dei costi spesso fuori mercato che famiglie e attività produttive, nonostante la produzione dei rifiuti sia diminuita e la qualità del servizio offerto non sia migliorata, sono chiamate a coprire con importi che in alcuni casi sono del tutto ingiustificati. 

E poi c’è il problema irrisolto dell’applicazione dell’Iva sul servizio: più volte l’applicazione dell’Iva sul servizio di asporto dei rifiuti è stata stoppata dalla magistratura tributaria ed amministrativa, ma senza mai arrivare ad una definizione univoca del trattamento fiscale su quello che a tutti gli effetti è un servizio pubblico fondamentale, che non dovrebbe esser tassato ulteriormente.