Sale a 2.278,9 miliardi, in crescita di 8,2 miliardi rispetto ad aprile. In un anno è cresciuto di ben 34 miliardi. Brunetta: «la prova del fallimento delle politiche di Renzi, Gentiloni e Padoan»
Sale a 2.278,9 miliardi il debito pubblico italiano, nel mese di maggio: secondo quanto rileva Bankitalia, è cresciuto di 8,2 miliardi rispetto ad aprile. A maggio del 2016, era pari a 2.244 miliardi: in un anno, è cresciuto di ben 34 miliardi.
Gli esperti di Banca d’Italia spiegano che l’incremento è dovuto principalmente al fabbisogno mensile delle amministrazioni pubbliche (7,0 miliardi); vi contribuiscono anche l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (per 0,5 miliardi, a 58,9; erano pari a 72,7 miliardi alla fine di maggio 2016) e l’effetto complessivo degli scarti e dei premi all’emissione e al rimborso, della rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e della variazione del tasso di cambio (0,7 miliardi).
La diffusione del dato ha dato il via alle prese di posizione dei critici del governo Renzi/Gentiloni. Per il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, «piu che aspettare sconti da Bruxelles come la manna dal cielo, il Governo italiano farebbe meglio a pensare ai buchi di bilancio che le sue politiche economiche hanno già prodotto, a partire da quello generato dalla “voluntary disclosure” bis, una delle tante misure “anti-evasione” sbandierate per aumentare le entrate, in questo caso 1,6 miliardi di euro, ma che finora ha prodotto un gettito quasi pari a zero, per l’assenza di domande di adesione da parte dei contribuenti. Il che equivale ad un ulteriore aumento di deficit che andrà sanato nella prossima Legge di Bilancio. Per non parlare dei tagli ai ministeri inseriti nella manovra correttiva appena votata e di cui nessuno conosce i dettagli. Una mancata riduzione della spesa pubblica che si rifletterà anch’essa sull’aumento del deficit pubblico, testimoniando il fallimento delle politiche economiche di Renzi, Gentiloni e Padoan».
Per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, «considerato che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, aveva promesso che il debitosi sarebbe stabilizzato nel 2015 e poi sarebbe sceso nel 2016, direi che ha sbagliato previsioni per solo due anni, come minimo. La verità è che, per quanto il ministro consideri la questione del record del debito una cosa veramente noiosa, l’Italia, se vuole davvero ridiscutere il “fiscal compact” con l’Europa, dovrebbe mostrare perlomeno un’inversione del debito in valore assoluto, specie se ci considera che la pacchia del “Quantitative Easing” da parte della Banca centrale sta per finire e che tra pochi mesi sarà si sarà un’impennata dell’onere del debito pubblico».
Secondo il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci, «il debito pubblico continua a salire e la spesa dello Stato è intoccabile. La voragine nelle finanze statali si allarga sempre di più, ma il governo non riesce, o forse non vuole, aggredire gli sprechi del bilancio pubblico. Così la spesa continuerà a crescere e contribuirà a far crescere il nostro debito. E nei prossimi anni sarà sempre peggio perché la revisione della spesa è stata abbandonata».
Secondo un’analisi del Centro studi di Unimpresa sull’ultimo Def approvato dal governo, la spesa statale crescerà progressivamente nei prossimi quattro anni: tra il 2017 e il 2020, dalle casse del Tesoro usciranno, in tutto, 45 miliardi in più rispetto al 2016. Aumenterà anche la spesa per interessi sul debitodi 4,8 miliardi (+7%) e la sanità subirà un aumento di 6 miliardi (+5%). «La spesa pubblica andrebbe tagliata seriamente: dalla lotta agli sprechi, che continuano a pesare sulla fiscalità generale, possono essere trovate le risorse per ridurre il peso delle tasse sulle famiglie e sulle imprese» osserva ancora Pucci. Secondo l’analisi dell’associazione, il totale delle uscite si attesterà a 839,1 miliardi nel 2017, a 849,3 miliardi nel 2018, a 861,3 miliardi nel 2019 e a 874,2 miliardi nel 2020. In calo, invece, la spesa in conto capitale ovvero la voce che riguarda gli investimenti pubblici, specie quelli in infrastrutture e grandi opere: lo Stato spenderà sempre meno e ci sarà un calo complessivo di 623 milioni (-1,09%).
Le uscite correnti saliranno di 45,5 miliardi (+5,90%): dai 771,9 miliardi del 2016 di arriverà progressivamente agli 817,5 miliardi del 2020.
Sul tema interviene anche Confimprenditori: per il presidente Stefano Ruvolo il livello del debito pubblico statale «fa il paio con quello emerso dal rapporto “Government at a glance” dell’Ocse, dove si rileva che l’Italia ha i livelli di retribuzione dei dirigenti della pubblica amministrazione più elevato rispetto alla media Ocse. Per non parlare dei tempi medi della giustizia: più di due anni per le cause amministrative, anche qui un primato, secondi solo alla Grecia. Dunque? Dunque le politiche di revisione della spesa pubblica messe in atto fino ad oggi per contenerla e renderla più efficace non sono ancora sufficienti. In un report del suo centro studi, Confimprenditori ha proposto diverse voci dove andare a tagliare la spesa pubblica improduttiva: a partire dalla riduzione di spesa significativa del numero dei dirigenti nel pubblico per avvicinarli alla media Ocse e Ue passando per la riduzione del numero delle centrali appaltanti per l’acquisto su beni e servizi e la razionalizzazione delle aziende partecipate dei comuni, tramite soppressione delle partecipate che non forniscono servizi pubblici».