Unimpresa contesta la norma sulla chiusura delle cause tributarie: il provvedimento non distingue le varie ipotesi perché il costo della definizione è indipendente dall’esito del giudizio eventualmente intervenuto. Pucci: «la sbandierata riduzione del carico erariale non esiste»
Il meccanismo, stabilito dalla manovra correttiva sui conti pubblici di primavera, per la chiusura delle liti fiscali pendenti porta alla disparità di trattamento. Il provvedimento non distingue le varie ipotesi perché il costo della definizione è indipendente dall’esito del giudizio eventualmente intervenuto; restano comunque dovuti per intero le imposte e gli interessi di dilazione.
Oltre a questo, c’è una beffa per i contribuenti che hanno ottenuto un giudizio favorevole in un grado di giudizio precedente: il sistema favorisce chi non ha possibilità di successo in contenzioso e penalizza invece il contribuente a cui il giudice ha già riconosciuto le proprie ragioni in un grado di giudizio precedente. Sono le osservazioni principali di una analisi, sulle misure contenute nel decreto legge approvato la scorsa settimana dal consiglio dei ministri, curata dal vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci.
L’analisi dell’associazione ha toccato, poi, altre tre norme in campo fiscale dello stesso provvedimento d’urgenza: la detrazione dell’Iva sugli acquisti, l’estensione dello “split payment”, la riduzione del limite per compensare le imposte. Per quanto riguarda l’Iva sugli acquisti, la norma corregge l’attuale impostazione secondo la quale il diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti termina alla scadenza prevista per la dichiarazione fiscale del secondo anno successivo: le nuove regole dimezzano i termini. L’Iva, dal momento in cui diventa esigibile, può essere detratta entro un anno, o meglio “con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto”.
Non sembra rispondere alle esigenze di lotta all’evasione, poi, l’estensione dello “split payment” alle società pubbliche e alle società quotate. Tale meccanismo porta a drenare la liquidità delle imprese e alla complicazione dei meccanismi contabili che costituiscono un costo non indifferente per le piccole imprese e, soprattutto, per i professionisti sottoposti pure alla ritenuta d’acconto immediata del 20%, con il risultato che lo Stato “drena” immediatamente ben il 42% del corrispettivo di un professionista, sottoponendolo a notevoli problemi di liquidità.
Altra misura sotto esame è la detrazione Iva sugli acquisti. Il dimezzamento del valore dei crediti compensabili, tagliato a 5.000 euro, costituisce un ulteriore aggravio per il contribuente costretto ad avvalersi dell’opera di professionisti per l’asseveramento del credito. Si tratta, peraltro, di un ulteriore regalo alle compagnie di assicurazione, perché i professionisti devono sottoscrivere una specifica polizza assicurativa a garanzia del credito.
«Il nostro giudizio – spiega il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci – lo potremmo sintetizzare con poche idee, ma confuse. Tuttavia, non è il caso di chiudere il discorso con uno slogan e allora, sul Def del governo di Paolo Gentiloni e sulla manovra correttiva, è opportuno svolgere alcune considerazioni e valutazioni approfondite. Cominciamo col dire che la sbandierata riduzione del carico erariale non esiste, mentre viene confermata l’incapacità di intraprendere una strada del cambiamento capace di portare al tanto richiamato sviluppo». Secondo Pucci, «nelle carte ufficiali del governo c’è, invece, la solita impostazione che ormai siamo abituato a leggere da diversi anni. Insomma una minestra riscaldata».
«Manca sostanzialmente una visione del futuro che guardi allo sviluppo del Paese – sottolinea Pucci – ad iniziare dall’irrisolta questione della riduzione degli sprechi della spesa pubblica e della riduzione del debito pubblico. Nel corso degli ultimi anni si sono proposte più soluzioni: dai tagli agli sprechi per 20 miliardi di euro di Cottarelli ai 5 miliardi di euro di Gutgelt, rimasti entrambi al palo, all’istituzione di un fondo sovrano con dentro cespiti pubblici per circa 400 miliardi di controvalore da piazzare sul mercato per riportare a livelli di sopportabilità gli attuali 2.300 miliardi di debito pubblico a rischio di un rialzo dei tassi di servizio e che consenta l’abbassamento di una pressione fiscale che è insopportabile e anticompetitiva».