Il NordEst deve potere crescere valorizzando la sua forza economica che deve diventare anche forza politica
Di Giuseppe Pace
Tutti sanno che la regola classica del mercato liberale è l’equilibrio tra l’offerta di merci e servizi e la domanda. I servizi, soprattutto statali, nel NordEst d’Italia non sono all’altezza della qualità richiesta dal tessuto produttivo e spesso appaiono, a molti che votano soprattutto lega, antiquati e frenanti lo sviluppo economico. Si aggiunga poi l’invadenza e l’eccesso della tassazione che non lascia spazi sufficienti ai programmati margini di guadagni di molte piccole imprese.
Nel NordEst, ma non solo, la tassazione viene vista eccessiva rispetto ai servizi erogati dallo Stato, avvertito come romanocentrico e sprecone, anche se fenomeni di tangentopoli e di sprechi non mancano dappertutto in Italia: nel NordEst il “Mose” (acronimo di Modello Sperimentale Elettromeccanico, o dighe mobili in laguna di Venezia) ha fatto emergere i Mazzacurati, i Galan, gli Orsoni, i Chisso, mentre Zaia presiedeva e presiede la Giunta regionale del Veneto. Ma torniamo a ribadire che un eccesso di offerta di merci, come quella attuale, genera crisi ricorrenti.
Ciò che ha mandato in crisi molte aziende è anche il sopraggiungere di merci cinesi (a basso costo e di bassa qualità) e di altri Paesi ad economia meno avanzata ha invaso di merci l’Unione Europea in generale ed il NordEst Italia in particolare. A tale crisi poi si aggiunge il disequilibrio europea causato dall’uscita, quasi inaspettata, degli inglesi dalla UE, nella quale vi erano entrata tardi rispetto ai Trattati fondativi della CEE del 1957. La “Brexit” rischia, inoltre, di vedere dissolversi il Regno Unito in una serie di secessioni interne opposte ai grandi processi di unificazione che avevano consentito ad esso di prevalere sul mare e sul continente per oltre 200 anni. Anche in questo caso, come già avvenuto con la crisi del 2008 iniziata in Usa e poi trasmigrata in Europa, l’elemento inaspettato, imprevisto e dirompente porterà ad un nuovo assetto delle relazioni infra europee ed extraeuropee.
I margini e le leve di manovra per riportare benessere ai cittadini dell’Unione europea (ruolo che dovrebbe essere messo sempre al di sopra di tutto per chi si voglia impegnare nella attività politica) sono tutte dipendenti dai rapporti internazionali all’interno dei legami europei del “Fiscal compact” e dalle relazioni internazionali e in primis con gli Usa? Sicuramente in parte è così. La cultura delle relazioni internazionali, la conoscenza dei meccanismi di esse (che non seguono le logiche di politica interna), gli elementi ontologicamente compositivi dello Stato moderno di Hobbes (territorio, popolo, effettività delle leggi, identità culturale e valoriale, sovranità) e logiche proprie delle neuroscienze (che presiedono alle decisioni collettive delle comunità umane) dovrebbero essere più a fondo conosciuti dai decisori politici ed economici.
L’Unione Europea e le altre organizzazioni sovranazionali hanno assicurato, fino ad oggi, 70 anni di pace agli europei, senza più guerre fratricide, causate spesso dai nazionalismi che si espandevano. Senza ripercorrere la genesi dello stato antico e moderno (da Platone ed Aristotele, a Cicerone, sino a Machiavelli, Botero, Hobbes, Rousseau, Locke, Bodin, Schmitt) delle motivazioni che hanno portato alla sua costituzione (non intendo fare, qui, distinzioni fra la forma del regime – monarchico o repubblicano, oligarchico o democratico, liberale od assoluto), una prima constatazione da fare è che, senza l’intervento dello Stato (nelle sue diverse vesti di BCE, FED americana, Bank of England e Banca centrale cinese), che ha immesso liquidità poderosa nel sistema, dalla crisi non si sarebbe usciti. Quando si determinano condizioni che mettono in pericolo le comunità umane sia sotto il profilo militare, che economico-finanziario, che sanitario, solo le istituzioni di quelle comunità, erettesi in stato, possono difendere i cittadini.
Con la “Brexit” il commercio fra inglesi e la UE (o, meglio, alcuni Paesi di essa) ne risentiranno non poco. Si parla dell’industria automobilistica tedesca, dei servizi finanziari, del ruolo della borsa inglese, degli esportatori di vino italiano. Tuttavia, un fatto appare certo e incontrovertibile: il riacquisito status di preminenza che Berlino nei fatti ha ottenuto su tutto il continente, sino ai confini russi. Tale status sarà in parte temperato con Parigi più che con Roma. La cosa non prevista è che questa nuova dimensione tedesca si determina proprio in conseguenza di tre eventi non dipendenti dalla Germania: lo sfaldamento dell’URSS ed il conseguente sganciamento, voluto da Gorbacev, della DDR; la crisi americana che impatta meno sui conti pubblici tedeschi perché Berlino, grazie alle riforme di Shröeder, aveva migliorato la sua economia; la “Brexit” decisa autonomamente da Cameron. Occorre dire che i tedeschi oggi possono cogliere i frutti di questa insperata preminenza grazie alla più accorta gestione del loro bilancio pubblico e alle riforme fatte per tempo (la ex DDR, pur in un sistema statalizzato e privo di democrazia, aveva tenori di vita superiori a quelli della stessa ex URSS).
Il Mezzogiorno, invece, continua a restare indietro nello sviluppo nonostante sia mancato il muro con il Settentrione. Intanto al Sud abbonda la letteratura del meridionalismo piagnone e al Nord quella del ribellismo fiscale. Molti ritengono (tra questi gli “sprovveduti” Matteo Salvini, forse anche Beppe Grillo, Le Pen, ecc.) che il progetto di un’unione politica degli stati europei si possa dire tramontato e non realizzabile oggi, ma non è il parere dello scrivente. Oggi più che mai i “provveduti” europei devono spingere l’acceleratore verso gli Stati Uniti D’Europa, che avrà una sola voce in politica economica, estera, culturale, commerciale, sanitaria. Certo, alcuni Paesi come la Polonia e i Paesi baltici appaiono assai più preoccupati dal fatto di ritrovarsi, come nel novecento, stretti fra Berlino e Mosca, che non desiderosi di costruire l’Unione europea. E’ prevedibile che per questi Washington, più che Mosca, sia il naturale loro approdo.
Nel mentre i commentatori sciorinano previsioni più o meno allarmistiche, traspare nei sondaggi che gli elettori tedeschi e quelli francesi (che già bocciarono la costituzione europea) non sono disposti ad ulteriori cessioni di sovranità in favore di una ipotetica confederazione europea. I colloqui fra Renzi, Holland e Merkel lo stanno, in parte dimostrando? Del resto, la vicenda della CED (Comunità europea di difesa) lo aveva già ampiamente certificato decenni fa? Oggi, più di ieri, di questi umori e sentiment (così ben studiati dai neuroscienziati e dagli psicologi sociali ed ignorati spesso dai decisori politici e dagli economisti) sarà bene tenerne conto, visto l’esito del referendum britannico. Gli scenari che si aprono nel continente possono essere diversi, anche in considerazione degli atteggiamenti che assumeranno Usa, Cina e Russia, intente a salvaguardare anche loro i loro interessi (status di economia di mercato della Cina con conseguenti ricadute sui dazi, TTIP, Nato, rapporti industriali Est-Ovest, Euro). La possibilità di un ritorno allo stato di integrazione ante Euro è probabile, anche se il vero banco di prova sarà proprio quello della resistenza o meno della moneta unica (a cui sarà sottesa la nuova dimensione di influenza dei vari Paesi).
E’ auspicabile che la politica italiana prenda coscienza del fatto che nuove alleanze potrebbero scaturire ed un nuovo blocco geopolitico continentale potrebbe presto formarsi con una ripartizione degli interessi su scala extra europea (per esempio con Parigi che guarda più all’Africa ed al Medio Oriente e Berlino all’Est ed all’estremo Oriente). Il dati sul Pil e sull’occupazione diffusi il 27 giugno dall’Istat hanno suscitato reazioni positivi in alcuni presidenti di Regioni del NordEst in merito ai dati positivi di crescita di Pil per quanto riguarda l’export, ad esempio, sono cresciuti rispetto al 2015.
Nel NordEst il 30% delle aziende esporta ancora bene le sue merci di qualità, vi sono più giovani intraprendenti, l’agricoltura è più produttiva e ricca di alimenti di qualità competitiva, la scuola è meno secolarizzata o indifferente alla cultura che si diffonde e si rinnova aggiornandosi, la genialità non è affatto secondaria come si evince da specialisti che operano in medicina, turismo, commercio, il sistema generale economico sociale ha ancora “l’ascensore sociale” che funziona ancora nonostante la meritocrazia come l’intraprendenza giovanile, siano oscurate dalla partitocrazia della casta dei politici di professione e nonostante la gravità della crisi economica in atto che non permette di vedere luce a breve distanza temporale.
La macroregione del NordEst, idea oggi promossa da un comitato presieduta dall’Avv. Ivone Cacciavillani con altri valenti professionisti dell’economia, dell’ingegneria e della comunicazione, non deve essere sottovalutata. Lo Stato centrale non deve continuare a sottovalutare la richiesta da parte del NordEst di servizi di qualità più elevati e con la dovuta trasparenza democratica.