Guadagnini, Bizzotto, Ciambetti: «con il voto inglese anche il popolo Veneto deve potersi esprimere sulla propria indipendenza»
Il voto sulla “Brexit” ha scoperchiato il vaso dell’autodeterminazione e dell’insoddisfazione verso i poteri di Bruxelles. Un voto chiaro che apre un nuovo futuro anche per l’Europa che deve avvicinarsi di più ai cittadini se non vuole passare rapidamente da 27 a 24 o anche meno, visto che da Olanda, Francia, Ungheria e, a breve, anche dalla Polonia stanno scaldando i motori i fautori dell’uscita dal recinto di Bruxelles.
L’esito del “Brexit” è stato salutato con toni differenti tra gli amministratori del NordEst. Dal Veneto proviene l’entusiasmo maggiore. Per l’indipendentista di “Siamo Veneto” Antonio Guadagnini «la “Brexit” è prima di tutto una grande lezione di civiltà della democrazia britannica: i britannici votano, gli europei chiacchierano di principi che non applicano». Per Guadagnini «ci potranno essere ricadute positive anche per la nostra richiesta di referendum per l’indipendenza del Veneto dall’Italia. La Brexit potrebbe portare aria nuova nel continente e un balzo poderoso in avanti in termini di civiltà e di qualità della democrazia». Il rappresentante di “SiamoVeneto” prosegue: «come non essere felici dell’esito del voto britannico? E per chi si preoccupa della contabilità in termini di dare avere dei flussi commerciali e delle possibili ricadute economiche dico: l’uscita della Gran Bretagna non potrà mai avere conseguenze paragonabili agli ultimi dieci anni di crisi, sarà assai meno drammatica della crisi bancaria che stiamo attraversando, non avrà le conseguenze nefaste che hanno i continui tagli, che da decenni bersagliano il Veneto. In buona sostanza – conclude Guadagnini – se siamo sopravvissuti a 150 anni di Italia, la “Brexit” a noi ci fa un baffo. E se questo evento ci porterà ad accelerare nel nostro percorso indipendentista, sarà addirittura la migliore notizia dalla fine della seconda guerra mondiale».
Per l’eurodeputata leghista Mara Bizzotto «con il trionfo della “Brexit” e l’uscita dalla Gran Bretagna dalla UE vincono la libertà e la democrazia contro l’Europa delle banche e del dominio tedesco. Il 23 giugno sarà ricordato nei libri di storia come il giorno dell’indipendenza del Regno Unito dalla UE: il referendum inglese ha un’importanza storica pari a quella della caduta del Muro di Berlino perché, come nel 1989 crollò il simbolo dell’oppressione comunista, così oggi si sgretola il muro di questa Unione Sovietica Europea».
Per il consigliere regionale e coordinatore per il Veneto di Fratelli d’Italia-AN- Movimento per la cultura Rurale Sergio Berlato, a lungo parlamentare europeo, «l’uscita della Gran Bretagna dall’UE impone a tutti gli stati membri una profonda riflessione: o si cambia o il declino porterà conseguenze drammatiche. La verità è che questa Europa così com’è non piace. Ora veramente si impone una riflessione profonda che porti in breve tempo ad un radicale cambiamento della linea politica di Bruxelles, per evitare un declino dalle conseguenze imprevedibili ma sicuramente drammatiche».
Per il presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti: «ha vinto il cuore contro un’Europa senz’anima. L’Europa delle caste e dei burocrati sconfitta nella patria della Magna Charta Libertarum. L’Europa che non ha saputo tenere conto dei diritti dei cittadini è stata sfiduciata. Il sistema britannico avrà pure molti difetti, ma quando si parla di libertà e democrazia non è di certo secondo a nessuno. Il voto britannico è così una risposta a chi pensa di poter governare anche senza mandato popolare, ma è anche un segnale a chi teme le urne, a chi vince sempre quando non si vota e per questo non vuol far pronunciare i cittadini su questioni strategiche». Secondo Ciambetti «i cittadini, piaccia o no a i vari club Bildeberg e alle élite, tornano a scrivere la Storia e a ridisegnare la carta dell’Europa dei Popoli. Le élite che pensavano di essere inattaccabili, certe delle loro convinzioni e della loro superiorità culturale oltre che etica sono state sconfitte e i cittadini hanno ritirato la delega in bianco che i governi si erano presi senza ricevere alcun mandato popolare. La tesi per cui l’Europa oggi è attraversata da un qualunquismo gretto e da un populismo da quattro palanche è sbagliata e serve casomai a fornire una scusa a chi non tiene in alcun conto i bisogni dei cittadini: mi auguro che dopo questo voto ci sia qualcuno che a Bruxelles come a Londra, a Berlino come a Roma cerchi di capire dove e perché ha sbagliato in questi anni e accetti di invertire la rotta accettando le istanze di autonomia e autogoverno da cui ripartire verso il futuro».
Per la capogruppo PD nel Consiglio regionale del veneto, Alesandra Moretti, «dietro alla dura lezione della “Brexit” c’è un’opportunità: quella per l’Europa di diventare più compatta e di rilanciare con forza i suoi valori con un progetto chiaro e leggibile. Questo divorzio fa male e deve farci riflettere sul destino che vogliamo darci: in ballo c’è il futuro non solo degli inglesi, che si sono dimostrati molto divisi sulla scelta di restare in UE, ma dei 500 milioni di cittadini europei: è una cosa che ci riguarda tutti, senza distinzione. Le conseguenze della Brexit sono imprevedibili, per questo inviterei i leader della Lega, nella loro ondivaga rincorsa al lepenismo, ad abbassare i toni».
Per il presidente del Veneto, Luca Zaia «il contagio referendario sarà il “mood” in tutti i Paesi, l’Italia compresa. D’altra parte, fino ad oggi, quando mai si è domandato direttamente agli europei che cosa pensavano di questa “costruzione”? E’ ora di farlo». Per Zaia dal voto in Gran Bretagna esce una bocciatura «di questo modello europeo di Europa dei grandi burocrati» che l’hanno fondata sulla «negazione della sovranità popolare e quindi della democrazia. Il referendum inglese ha di fatto bocciato “questa” Europa su tutta la linea, in modo inequivocabile».
Soddisfazione per il voto inglese è stato espresso anche dal M5S del Veneto: per i consiglieri regionali Jacopo Berti, Erika Baldin, Manuel Brusco e Simone Scarabel «la Gran Bretagna è fuori dall’Unione Europea e Cameron si è dimesso. Lo hanno deciso i cittadini britannici con il referendum. E’ la strada più cara al Movimento 5 Stelle, quella di chiedere ai cittadini un parere sugli argomenti decisivi per i popoli. Nessun governo deve aver paura delle espressioni democratiche del proprio popolo, anzi deve considerare il suo volere come il più autorevole dei mandati. E’ per lo stesso motivo che chiediamo da tempo un referendum sull’autonomia del Veneto – continuano gli esponenti pentastellati – e, per quanto riguarda i temi europei, sulla moneta unica. Chiediamo un Referendum per il quale abbiamo raccolto le firme, dato che nessuno ci ha mai interpellato come cittadini sull’euro». «Il messaggio che arriva chiaro dal popolo inglese è che l’Unione Europea deve cambiare, altrimenti muore – proseguono gli esponenti del M5S -. Non è con facili populismi come fa la Lega che ci opponiamo ad un’Europa del genere. Noi lo facciamo con argomentazioni concrete basate sulle caratteristiche del nostro territorio. Innanzitutto, l’Unione Europea ha sbagliato nel mettere l’austerità al centro della politica, le banche, contro cui lottiamo in Veneto ogni giorno, e la finanza davanti ai cittadini; quindi non ha risolto il problema dell’immigrazione perché dominata dell’egoismo degli Stati membri; quindi ha creato povertà e disoccupazione dilagante; si è dimostrata a trazione tedesca: Angela Merkel e Martin Shultz si sono comportati come i padroni assoluti e incontrastati; il suo esecutivo è guidato da Jean-Claude Juncker, per anni primo ministro di quel Lussemburgo campione d’elusione fiscale».
Giungono parole di soddisfazione anche dall’Emilia Romagna: per il capogruppo leghista in regione Alan Fabbri «la democrazia ha vinto, la “Brexit” è l’inizio di un’epoca nuova. E’ un precedente eccellente, che richiama anche noi italiani a una battaglia per ottenere quel referendum, per poter dire la nostra e avere voce. Ma è anche la smentita di Renzi e del Pd che – con la riforma costituzionale – vorrebbero, per l’ennesima volta, tappare la bocca agli italiani, non consentendo loro di potersi esprimere sui trattati internazionali, come il “Ttip”, che è un attacco e una minaccia alle nostre produzioni. Mai più schiavi di un’Europa nemica della nostra agricoltura, della nostra pesca, della nostra imprenditoria d’eccellenza. La “Brexit” è l’alba di una nuova stagione. La strada è tracciata, l’uscita da questa Europa non sarà più un dogma, ma una via democraticamente praticabile».
Giudizi tiepidi sul voto inglese da esponenti delle regioni e province autonome. Per la presidnete della regione Friuli Venezia Giulia e vicesegretario nazionale PD Debora Serracchiani, «la “Brexit” è il caro prezzo pagato a un’inerzia europea durata troppo a lungo di fronte a fenomeni come le migrazioni e i crescenti problemi sociali. Non sono più solo segnali, è una fortissima sirena d’allarme che richiama a dare d’urgenza nuovo senso alla Ue perché non sia più un potere lontano dai popoli. Ciò che accade ai mercati dovrebbe moderare anche quelli che esultano per l’uscita UK e si augurano la fine della Ue. Perciò teniamo i nervi saldi e subito al lavoro: il nostro Paese è solido e – conclude Serracchiani – non può permettersi di interrompere la crescita appena avviata».
Per il presidente del Consiglio regionale del Trentino Alto Adige, Thomas Widmann «l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa è un passo indietro nella formazione di quella coscienza europea che da anni si sta cercando di costruire. La volontà dei cittadini va sempre rispettata, ma sicuramente la perdita di un membro importante come il Regno Unito rappresenta una sconfitta della politica europea tutta. L’auspicio è che possa rappresentare una scossa per gli altri Stati del Continente, che devono lavorare in sinergia per essere sempre più coesi nel creare un’Europa dei popoli e non delle Nazioni». Secondo Widmann «proprio il nostro territorio, il legame storico, culturale e politico che stiamo costruendo tra Alto Adige-Südtirol, Trentino e Tirolo per una Euroregione capace di agire come una sola voce sugli interessi sovranazionali, in chiave europea, è un esempio di come si possa lavorare per superare definitivamente quelle spinte nazionaliste che vorrebbero la disgregazione dell’Europa unita, un sogno di pace e benessere nato alla fine di un devastante conflitto».
Ambigua la posizione del presidente della provincia di Trento e uno dei massimi esponenti del Partito autonomista Trentino Tirolese, Ugo Rossi: «in Europa spira un vento che non mi piace. E’ il vento del nazionalismo, della chiusura, della paura. Per la “Brexit” ci sono due ordini di preoccupazioni, uno di tipo economico, l’altro politico culturale, soprattutto culturale – prosegue Rossi. Il primo riguarda il profilo finanziario dei mercati, che determinano tensioni e speculazioni, che si riversano anche sulle finanze locali, compresa quella provinciale. Eppure sento inneggiare alla “Brexit” da parte di esponenti politici locali, quando un primo effetto è ad esempio la salita dello spread» Per la seconda preoccupazione, il governatore trentino ha aggiunto che «mi sembra un vento della paura e della reazione di chiusura, quindi del nazionalismo, che non ha portato qualcosa di buono in Europa, se pensiamo anche ai risultati elettorali di questi ultimi anni: tutti contro, ma nessuno che dica l’alternativa. Speriamo che non ci sia un effetto emulazione. Sento già i Salvini. Le rivoluzioni di pancia non hanno mai portato a qualcosa»