In Trentino la longevità più alta per uomini e donne. Zaia: «dato preoccupante legato al mancato taglio degli sprechi nel settore sanitario»
In Italia, oltre un italiano su 5 (il 22%) ha più di 65 anni. I 65-74enni sono oltre 6,5 milioni, pari al 10,7% della popolazione residente; 1.900.000 gli ultra ottantacinquenni, il 3,2% del totale. Alla data del 1° gennaio 2015, gli ultracentenari sono più di tre residenti su 10.000, più che triplicati dal 2002 e la componente femminile è sempre la più numerosa. Questa è la fotografia che emerge dalla XIII edizione del “Rapporto Osservasalute 2015. Stato di salute e qualità dell’assistenza nelle Regioni italiane”, presentato al Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma.
Il “Rapporto Osservasalute”, curato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, è l’appuntamento fisso che fornisce annualmente i risultati del check-up della devolution in sanità, corredando dati e indicatori con un’analisi critica sullo stato di salute degli italiani e sulla qualità dell’assistenza sanitaria a livello regionale. Regione più “anziana” si conferma la Liguria con una quota di ultra 65enni pari al 28%; al suo opposto la Campania (17,6%). Di contro, però il Rapporto segnala che l’aumento della speranza di vita segna una battuta d’arresto: dagli 80,3 anni per gli uomini e 85 anni per le donne del 2014 agli 80,1 per gli uomini e 84,7 per le donne del 2015 (dati Istat).
In Trentino si riscontra, sia per gli uomini sia per le donne, la maggiore longevità (rispettivamente, 81,3 anni e 86,1 anni), mentre la Campania è la regione dove la speranza di vita alla nascita è più bassa, 78,5 anni per gli uomini e 83,3 anni per le donne. Per quanto riguarda le cause di morte, dai dati 2012 quelle più frequenti sono le malattie ischemiche del cuore, responsabili da sole di 75.098 morti (poco più del 12% del totale dei decessi). Seguono le malattie cerebrovascolari (61.255 morti, pari a quasi il 10% del totale) e le altre malattie del cuore, i tumori maligni alle vie respiratorie, malattie ipertensive, demenza e malattia di Alzheimer. Tumori maligni, demenza, Alzheimer e polmonite mostrano un’importanza maggiore nelle aree settentrionali, mentre nell’area meridionale si muore soprattutto per diabete e malattie ipertensive.
La presentazione del “Rapporto Osservasalute 2015” – a cura di Alessandro Solipaca, segretario scientifico dell’Osservatorio – si è svolta alla presenza, tra gli altri, del direttore dell’Osservatorio e presidente dell’Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi, e Gianfranco Damiani (Istituto di sanità pubblica – Università cattolica di Roma). Tante le informazioni contenute nel Rapporto che ha anche evidenziato che gli italiani sono meno sedentari ma sempre più obesi, soprattutto nelle regioni meridionali. Secondo il Rapporto, diminuisce l’uso di alcol e fumo ma non migliorano cattive abitudini come lo scarso consumo di frutta e verdura, mentre aumentano l’uso di antidepressivi e i suicidi. Dal 2001 al 2014, si legge nel documento, è aumentata la percentuale delle persone in sovrappeso (dal 33,9% al 36,2%), ma soprattutto è aumentata la quota degli obesi (dall’8,5% al 10,2%).
Diminuito il consumo di alcol, ma stabile il dato dei consumatori a rischio: pari al 22,7% per gli uomini e all’8,2% per le donne, calato solo in Emilia Romagna e in Campania. In calo anche i fumatori: poco più di 10 milioni. Persiste invece il trend in aumento del consumo di antidepressivi, pari a 39,30 dosi definite giornaliere ogni mille abitanti nel 2014, con punte di 59,50 in Toscana, attribuibile, spiega il Rapporto, a diversi fattori tra i quali l’arricchimento della classe farmacologica di nuovi principi attivi, la riduzione della stigmatizzazione delle problematiche depressive e l’aumento di attenzione del medico di medicina generale nei confronti della patologia. Aumentano i suicidi, soprattutto tra uomini e in età avanzata. Il volume (di 590 pagine), è frutto del lavoro di 180 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso università, agenzie regionali e provinciali di sanità, assessorati regionali e provinciali, aziende ospedaliere e aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco,
Come evidenzia il Rapporto, la crisi ha tagliato i consumi alimentari ma ha anche profondamente modificato le abitudini degli italiani che sono stati costretti a dire addio ai prodotti base della dieta mediterranea dall’olio al vino, dall’ortofrutta alla pasta fino al pane, sceso al minimo storico all’unità d’Italia, con pericolosi effetti per la salute. Coldiretti ha preso in esame la revisione della spesa degli italiani nel carrello della spesa a partire dal 2008 con l’inizio della crisi. «Il crollo più pesante – sottolinea Coldiretti – si è avuto per l’olio di oliva, riconosciuto come elisir di lunga vita, con acquisti in calo del 25% e consumi a persona scesi a 9,6 chili all’ anno, dietro la Spagna 10,4 chili e la Grecia che con 16,3 chili domina la classifica. Anche per il vino – prosegue la Coldiretti – si è avuto un forte contenimento con una riduzione nello stesso periodo del 19% nei consumi che adesso si aggirano complessivamente attorno ai 20,5 milioni di ettolitri, tanto che l’Italia è stata raggiunta sul podio dei principali paesi consumatori mondiali di vino dalla Germania. Molto preoccupante è la situazione per la frutta e verdura fresca poiché, per effetto di un calo del 7% i consumi per persona, – rileva la Coldiretti – si sono fermati a poco più di 130 chili all’anno che equivalgono a non più di 360 grammi al giorno rispetto ai 400 grammi consigliati dall’organizzazione mondiale della Sanità. In Italia solo il 18% della popolazione di età superiore a 3 anni consuma quotidianamente almeno 4 porzioni di frutta e verdura».
I dati del rapporto vengono letti politicamente dal governatore del veneto, Luca Zaia: «ci siamo. Il timore che da almeno due anni esprimo sul futuro della salute degli italiani e dei Veneti trova ora conferma autorevole dal “Rapporto Osservasalute” e da un tecnico al di sopra di ogni sospetto come il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi: per la prima volta nella storia d’Italia nel 2015 è scesa l’aspettativa di vita delle persone. La causa è evidente – dice Zaia – è mancata una seria revisione della spesa pubblica fondata sui costi standard. I tagli lineari a cui abbiamo assistito e stiamo ancora assistendo hanno messo in croce sia le Regioni virtuose che, avendo già ottimizzato la spesa come il Veneto, non sanno più dove e cosa tagliare, sia quelle in deficit, alle quali non sono stati dati parametri oggettivi per rientrare come sarebbero stati i costi standard».
«Lo dicevamo da tempi non sospetti – aggiunge Zaia – la politica dei tagli è cosa diversa da una seria spesa oculata e i tagli che si sono susseguiti, e che ancora ci attendono nel futuro, ci hanno portato verso quel 6,5% del Pil dedicato alla sanità che l’Oms indica come soglia sotto la quale inizia a calare l’aspettativa di vita della gente e si prefigura la violazione dell’articolo 32 della Costituzione che sancisce l’universalità delle cure in Italia. Secondo i nostri calcoli, sui tagli prospettati avremmo dovuto arrivarci nel 2018, quando in Italia il rapporto Pil spesa sanitaria è previsto al 6,38%. E’ successo prima, e questo è un campanello d’allarme che nessun governante può permettersi di sottovalutare».
A sostegno di quanto detto, Zaia presenta una serie di dati: «fin dal 2014 quanto solennemente scritto nel Patto Nazionale per la Salute (tuttora in vigore non lo si dimentichi) è stato disatteso. Per il 2014 erano previsti stanziamenti per 109,928 miliardi di euro e ne furono erogati solo 109. Peggio è andato nel 2015 quando, a fronte di uno stanziamento di 112,062 miliardi ne sono stati erogati effettivamente 109,715 miliardi, meno 2,447 miliardi. La discesa continuerà anche nel 2016, con 111 miliardi assegnati contro i 115,444 miliardi previsti dal Patto per la Salute e comunque con 2,097 miliardi in meno rispetto anche all’Accordo del 2 luglio 2015 che il Veneto non sottoscrisse. Il Fondo si toccherà nel 2017 e 2018 con altri 4,68 miliardi in meno nel 2017 e 6,444 miliardi nel 2018».