Fisco, Confcommercio smentisce Renzi: in 20 anni tasse locali +248%

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Pressione fiscale Documento programmatico di bilancio
Se il Governo ha limato la pressione fiscale centrale, per quello locale è stato boom per fronteggiare il calo dei trasferimenti statali. Sangalli: «troppa pressione fiscale indebolisce il sistema produttivo»

 

grafico crescita peso tasseSono passate solo poche ore dal proclama renziano che, a poche ore dal festeggiamento del secondo compleanno del Governo gigliato, pontificava sul fatto che in Italia finalmente si era invertita la tradizione della crescita continua della tassazione, con una piccolissima percentuale decimale. Ci pensa Confcommercio Imprese per l’Italia a scombinare i festeggiamenti, presentando uno studio secondo cui tra il 1995 e il 2015 le entrate tributarie degli enti locali sono cresciute del 248,8% (passando da 30 a ben 103 miliardi di euro) e quelle centrali del 71,2% (passando da 228 a 393 miliardi). 

Secondo Confcommercio, ormai il fisco locale «estrae quasi 4.000 euro l’anno per ciascuna famiglia italiana». Nel ventennio 1995-2015 la pressione fiscale complessiva è salita dal 40,3% al 43,7%. Non solo, la variabilità delle aliquote e delle imposte locali determina che la stessa impresa paga più o meno tasse a secondo se ha sede in questa o in quella città. Fra Roma e Trento, ad esempio, c’è uno scarto del 13,5% di tasse in più per l’imprenditore della capitale. «Oggi la quota di tributi locali – ha detto il direttore ufficio studi Confcommercio Mariano Bella – rispetto al totale di tributi e contributi è al 14,5%, qualcosa di non trascurabile che necessita di attenzione, non nella logica di ridurre l’autonomia impositiva, ma in quella del necessario coordinamento tra la fiscalità dei diversi livelli di governo». 

«Anche se la spesa pubblica corrente si è finalmente ridotta nel 2015, gli sforzi fatti non sono sufficienti. La crescita della pressione fiscale indebolisce il nostro sistema produttivo, già stremato da una crisi durissima» afferma il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, secondo cui «ridurre il carico fiscale su imprese e famiglie è prioritario. Le nostre imprese, quelle del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti non vogliono e non possono più pagare il conto di enti pubblici inefficienti. E soprattutto non vogliono subire trattamenti discriminatori e penalizzanti nel pagamento delle tasse locali». Per Sangalli, «la via è una e obbligata: controllo serrato della spesa in generale, applicazione rigorosa del criterio dei fabbisogni e dei costi standard, maggiore coordinamento tra i vari livelli di governo. Meno spesa pubblica e meno tasse è la ricetta per un Paese più dinamico e più equo che vuole tornare a crescere e che vuole scongiurare definitivamente il ricorso alle clausole di salvaguardia».

Lo studio evidenzia «l’ampia variabilità delle aliquote dei tributi locali». Vi sono città (come Roma, Torino, Firenze, tanto per fare degli esempi) dove le addizionali regionali sono applicate per scaglioni. «Non solo ci sono aliquote differenti ma – osserva Bella – sono differenti per comune e regione anche i metodi di calcolo delle addizionali: a Campobasso per scaglioni, per fare un esempio, a Napoli, invece l’addizionale regionale è proporzionale. In Italia ci sono un numero imprecisato, nell’ordine delle migliaia, di aliquote Irpef. Altro che semplificazione fiscale». Questi tributi generano un gettito per l’Irap di oltre 30 miliardi di euro all’anno, e per le addizionali Irpef di oltre 15 miliardi di euro all’anno. 

Avere un’impresa con sede a Roma o a Trento ai fini fiscali non è la stessa cosa. Secondo il campione proposto da Confcommercio un’impresa con un imponibile Irap pari a 50.000 euro e un imponibile Irpef sempre pari a 50.000 euro pagherà 19.000 euro se ha sede a Roma e 16.744 euro se ha sede a Trento. In gioco ci sono 2.256 euro all’anno di tasse in più o in meno. Un differenziale del 13,5% che pesa anche a livello di concorrenza. Passando poi al capitolo tasse sugli immobili, dal 2011 al 2015 – sottolinea la ricerca – le imposte sul mattone sono cresciute del 143% passando da 9,8 miliardi a 23,9 miliardi di euro. Quest’anno, Grazie alla riduzione della prima casa ci sarà un calo del 19%. Ma, secondo le stime di Confcommercio nel 2016 le imposte sugli immobili e sui rifiuti cresceranno complessivamente dell’80% rispetto al 2011, passando da 15,4 miliardi a 27,8 miliardi di euro.

I dati forniti da Confcommercio scatenano la reazione delle associazioni consumeristiche. Per il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, «a fronte di una tassazione in crescita del +248% in 20 anni, i servizi erogati dagli enti locali diminuiscono. In sostanza i cittadini pagano più tasse per ricevere meno servizi o servizi peggiori. L’abnorme crescita delle tasse locali negli ultimi anni, che hanno contribuito non poco ad impoverire le famiglie e togliere risorse ai cittadini». Questo peggioramento dei servizi, sottolinea Rienzi, «avviene perché la pubblica amministrazione centrale, per far fronte ai propri immensi sprechi, ha tagliato i finanziamenti agli enti locali». I comuni, rileva Renzi, «sono stati così costretti negli anni ad aumentare progressivamente le tasse per non fallire, ma senza offrire in cambio alcuna prestazione aggiuntiva ai cittadini: le maggiori tasse locali pagate dai contribuenti negli ultimi 20 anni non sono servite a migliorare le condizioni di vita e i servizi resi, ma solo e unicamente a coprire gli immensi sprechi di risorse pubbliche della pubblica amministrazione: una vergogna che non ha eguali in nessun paese europeo».

Per Massimiliano Dona, segretario dell’Unione Nazionale Consumatori, «si tratta di una grave denuncia. E’ questo passaggio da tasse centrali a tasse locali, infatti, che ha contribuito in modo determinante in questi ultimi 20 anni a impoverire sempre più le famiglie italiane. Mentre quelle centrali sono più rispettose del criterio della capacità contributiva, fissato dall’art. 53 della Costituzione, quelle locali, dai rifiuti all’acqua, colpiscono tutti in modo uguale, indipendentemente dal reddito della famiglia». I presunti tagli delle tasse centrali, quindi, che mascheravano minori trasferimenti agli enti locali e conseguenti aumenti di balzelli comunali, rileva Dona, «è stato deleterio e ha finito per impoverire sempre più anche il ceto medio. Al di là dei flebili aumenti di consumi registrati nel 2015, quindi, se il Governo vuole ridare seriamente capacità di spesa alle famiglie e rilanciare i consumi, deve fare una seria riforma fiscale, avendo come faro il rispetto della Costituzione».