Si allarga il “Dieselgate” Volkswagen al TDI V6 3.0 che equipaggia Suv e ammiraglie del gruppo. Polemiche sulle modifiche alle norme sulle emissioni in discussione al Parlamento europeo
Il mercato dell’auto in Europa a settembre rimane in crescita, anche se rallenta il passo di carica registrato negli ultimi mesi. A settembre le immatricolazioni nell’Unione europea e nell’Efta (Islanda, Norvegia e Svizzera) sono state 1.394.223, in crescita del 9,8% rispetto al corrispondente mese del 2014.
Gian Primo Quagliano, presidente del Centro studi Promotor, sottolinea come la crescita delle immatricolazioni coinvolga tutti i Paesi: tra i primi 5 mercati continentali, la Spagna cresce del 22,5%, l’Italia del 17,2%, la Francia del 9,1%, la Gran Bretagna dell’8,6% e la Germania del 4,8%. Per Quagliano, tuttavia, il dato tedesco non è penalizzato dal “caso Volkswagen”. Tutt’altro, perché il gruppo si conferma al primo posto nel Vecchio continente, con un progresso dell’8,3% che è superiore alla crescita dei primi 8 mesi dell’anno, anche se la quota di settembre scende dal 23,7 al 23,3%. I progressi più consistenti lo scorso mese sono tutti appannaggio dei marchi tedeschi del lusso: Daimler (+19%) e Bmw (+17,1%). Alle loro spalle si colloca Fca con un incremento del 15,6%, per una quota che sale dal 5,4 al 5,7% trainata da Jeep (+132,5%).
Lo scandalo “Dieselgate” che ha visto protagonista il motore TDI 2.0 euro 5 prodotto da Volkswagen che equipaggia quasi tutti i modelli del gruppo intanto si allarga: l’Epa, l’Ente americano per la protezione dell’ambiente, ha notificato al gruppo tedesco una seconda “Notice of violation” (Nov) relativa al presunto utilizzo su motori diesel di software in grado di truccare i risultati dei test sulle emissioni inquinanti installati su modelli Volkswagen, Audi e Porsche e riguarda veicoli con motori diesel da 3.0 litri di cilindrata prodotti dal 2014 a oggi. Nel mirino delle autorità ambientali americane sono finiti i Suv Volkswagen Touareg, Porsche Cayenne e Audi Q7 e Q5 e le berline Audi A6, A7, A8 e A8L e Volkswagen Phaeton; il provvedimento riguarda circa 10.000 unità vendute dal 2014, oltre a un numero imprecisato di veicoli “modello 2016” (in vendita negli Usa da settembre).
All’indagine ha partecipato anche il California Air Resources Board (Carb), che ha svolto test su veicoli di tutti i costruttori. «Questi test – afferma il Carb – hanno sollevato serie preoccupazioni sulla presenza di defeat devices su altri veicoli Vw, Audi e Porsche». Secondo l’Epa i test su veicoli di altre marche non hanno per ora fornito prove di violazioni di questo tipo; i test sono ancora in corso.
Sempre secondo l’Epa, «Vw ha sviluppato e installato sui modelli sopra citati un dispositivo software (il cosiddetto defeat device) che in determinate circostanze produce emissioni di ossidi di azoto (Nox) fino a nove volte il massimo ammesso». Il meccanismo sarebbe simile a quello adottato sui motori TDI 2.0 della serie EA189 installati su 11 milioni di auto del gruppo in tutto il mondo, con il software che sarebbe in grado di riconoscere le procedure di test attivando solo in quel caso la modalità a basse emissioni; tale modalità verrebbe invece annullata dopo esattamente un secondo dalla fine della fase iniziale del test. Secondo l’Epa i motori sotto accusa contengono anche uno o più dispositi ausiliari di controllo emissioni (Aecd) non dichiarati.
Volkswagen ha replicato secca alle nuove accuse di oltreoceano: «non è stato installato alcun software sui modelli 3 litri V6 diesel per modificare in modo illegale i valori».
Intanto, a seguito del “Dieselgate”, il Parlamento europeo sta modificando le norme relative alle modalità di omologazione dei nuovi veicoli, rendendole più stringenti, almeno sulla carta. Secondo le proposte, i valori di omologazione non saranno più registrati solo in asettici test in laboratorio, dove i veicoli vengono testati in condizioni decisamente lontane da quelle dell’uso comune, con il risultato che queste si discostano anche del 400% da quelle effettive su strada. Si vuole obbligare i test anche nelle condizioni di marcia su strada, cosa che suscita dubbi da parte del presidente di Anfia (l’associazione che raggruppa la filiera automotive italiana), Roberto Vavassori, secondo il quale il compromesso sui futuri test sulle emissioni delle auto, raggiunto il 28 ottobre tra Commissione Ue e tecnici degli Stati membri: «ne sono uscite regole che responsabilizzano poco il guidatore. Prevedono che parte del test si svolga a velocità superiori a quelle massime ammesse sulle autostrade europee. Sarebbe come se i test di risparmio energetico dei frigoriferi si svolgessero lasciandoli aperti. Occorrerebbe invece che chi guida fosse più consapevole del suo ruolo fondamentale nella limitazione dell’inquinamento». Vavassori è perplesso anche per il fatto che le regole Ue stringono sugli ossidi d’azoto, mentre in Italia le sostanze emesse dal traffico che danno i maggiori problemi ambientali sono comunque le polveri sottili (il trasporto stradale ne emette il 17% del totale), già molto ridotte sulle auto nuove con gli standard Euro5.
Se le nuove norme dovessero essere approvate così come sono state proposte ciò comporterebbe la sparizione dei motori diesel più piccoli, su cui l’industria europea ha molto investito anche per seguire la politica ambientale Ue. «Occorre – dice Vavassori – una regolazione neutrale: fissati i limiti, dev’essere indifferente con quale tecnologia vengono raggiunti».