Il pianista cubano Roberto Fonseca al “Blue Note” di Tokio

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Il trio del musicista impegnato nell’esecuzione di “Consumatum est (Oya)”

 

 

Di Giovanni Greto

 

roberto fonseca blue note tokioAvrebbe meritato di suonare più di due giorni, come avviene per i musicisti maggiormente affermati, il pianista cubano Roberto Fonseca, per la prima volta dal vivo al “Blue Note” di Tokyo, a guidare il suo trio, con il quale, per altro, si esibisce in formazioni più ampie da almeno tre anni. 

Sorridente verso il pubblico e scherzoso con i compagni, attacca il primo set della giornata conclusiva  – come sempre, il locale prevede due set che nei giorni feriali cominciano, il primo alle 19.00, il secondo alle 21.30 – con “Consumatum est (Oya)”, il primo di cinque pezzi originali su un totale di sette, per un tempo complessivo di 75 minuti. A tempo medio, già pare invitare la platea ad immergersi nella tipica scansione ritmica cubana, che tanto si è espansa sia nel Pop che nel Jazz.

La composizione più interessante e strabiliante è la seconda “Asere Monina Bonco”, un titolo in lingua indigena per un accattivante latin-funky-Mambo che fa esplodere il talento del batterista Ramsés Rodriguez, giustamente soprannominato “dinamite”. Da un medium tempo, si passa ad una velocità supersonica, culminante in un lungo assolo, lanciato da semplici note basse al pianoforte, nel quale Ramsés si scatena con rullate, doppi colpi di cassa, patterns latini e jazzistici bene amalgamati. Sembra positivamente colpito da un ossessione che non lo fa smettere. E infatti faticherà a rientrare nei ranghi per accompagnare il placido tema finale. 

Anche “Rachel”, il brano successivo, mette in mostra l’affiatamento e l’amicizia tra il leader e il batterista attraverso una serie di breaks dettati dal pianista, quasi a voler mettere alla prova l’abilità del compagno. A questo punto, è il momento di tirare il fiato. E allora, ironicamente, Fonseca presenta “un nuovo pezzo pensato per questa sera”. Bugia. È il plurinterpretato (dai Beatles a Joao Gilberto) “Besame mucho”, questa volta in una versione sussurrata. Il tema melodico, strappalacrime, è disegnato dal contrabbassista, al basso elettrico a sei corde in due pezzi, Yaudi Martinez. Rodriguez, delicatissimo, percuote con le mani il drum set, dando luogo a un “Tumbao”, come se suonasse le congas, mentre Fonseca lascia trapelare l’ostinata introduzione di “Autumn Leaves” nella versione di Miles Davis con Cannonball Adderley ascoltabile in “Something Else”. Il set si concluderebbe con “San Miguel”, un velocissimo tema latino, contraddistinto da frequenti stop e ripartenze, nelle quali Fonseca inserisce le melodie di “El Cumbanchero”, brano immancabile nel lungo programma di una qualsiasi orchestra da ballo, soprattutto nel passaggio dall’ultimo al primo dell’anno. 

Anche se ha guardato l’orologio, Fonseca non può congedarsi così. Ecco allora una morbida ballad/ninna nanna, “Lo que me hace vivir”, esposta lungamente al piano solo e la classica “Vinti anos”, una canzone riportata alla luce grazie agli arzilli vecchietti di “Buena vista social club”, in particolare Ibrahim Ferrer, che non c’è più e Omara Portuondo, con i quali Fonseca si è fatto conoscere, sulla scia del successo della pellicola di Wim Wenders.

Una serata godibile, apprezzata dal pubblico nipponico, accorso in un locale in cui si è felicemente a contatto con i musicisti, anche se rimane difficile avvicinarli, date le regole rigide che impediscono, a chi magari vorrebbe sapere qualcosa di più dei suoi beniamini, il minimo tentativo di avvicinamento.

Un’ultima annotazione tecnica. Rodriguez ha utilizzato uno strumento “Canopus”, un marchio giapponese  che sta incontrando i gusti dei musicisti in numero crescente, per l’ottima qualità del legno dei fusti, che dà luogo ad una soddisfacente, espansa sensazione di una migliore risonanza.