Il brevetto congiunto delle Università di Trento e di Harvard interessa i produttori di sistemi video ultracompatti
Se i telefoni evoluti di prossima uscita potranno essere ancora meno pesanti e ingombranti di quelli in uso attualmente lo si dovrà anche alla ricerca applicata effettuata da Zeno Gaburro, professore del Dipartimento di fisica dell’Ateneo di Trento. Gaburro è tra gli inventori di un brevetto che riguarda la diffusione della luce attraverso delle microantenne e che nasce da una collaborazione di ricerca in ottica applicata tra Trento e Harvard avviata grazie al progetto europeo “el Dorado”.
L’Università di Trento è titolare del brevetto assieme a quella di Harvard. Il brevetto è stato depositato nel 2011, concesso negli Stati Uniti nel 2014 e ora dato in licenza a Samsung Electronics Company Ltd. (azienda multinazionale nel settore dell’elettronica) nella propria sede centrale in Corea.
«Con le risorse del brevetto – dice Gaburro – sto valutando l’opportunità di promuovere nuovi progetti didattici avanzati con alcune università africane».
Zeno Gaburro, laurea in ingegneria dei sistemi elettrici al Politecnico di Milano e dottorato nella stessa disciplina all’University of Illinois di Chicago, con varie esperienze nel mondo dell’industria, attualmente è professore di Fisica sperimentale all’Università di Trento. I suoi interessi di ricerca si concentrano sui problemi della fotonica e dell’ottica. «La nuova tecnologia di diffusione della luce permetterà – dice Gaburro – di ridurre lo spessore dei dispositivi a miliardesimi di metro con immediate linee di applicazione, laddove lo spazio è un bene prezioso, come ad esempio nelle telecamere per telefoni cellulari».
La ricerca alla base del brevetto e oggetto della collaborazione si basa sulla realizzazione di dispositivi ottici, sia di tipo classico (come lenti, specchi o polarizzatori), sia di tipo innovativo (come generatori di vortici ottici). La svolta riguarda il principio di funzionamento. Una lente classica viene fabbricata sagomando il vetro in modo da ottenere superfici curve per concentrare la luce in un punto, detto fuoco. La nuova tecnologia sfrutta invece la diffusione della luce da parte di migliaia di microantenne, ciascuna di dimensioni inferiori a un milionesimo di metro, realizzate con litografia a fascio elettronico e disposte su superfici non curve ma piane. Cercando un’analogia, si potrebbe pensare al passaggio avvenuto dallo schermo televisivo a tubo catodico che trasmetteva il segnale attraverso fasci di elettroni allo schermo a cristalli liquidi o plasma che lo riproduce invece punto per punto.
Cosa comporta questa svolta nel principio di funzionamento? «Il primo motivo di interesse – afferma Gaburro – deriva dallo spessore dei dispositivi, di pochi miliardesimi di metro, che suggerisce immediate linee di applicazione, laddove lo spazio è un bene prezioso e l’imperativo è la massima riduzione dell’ingombro, come ad esempio nelle telecamere per telefoni cellulari. C’è poi la compatibilità con la tecnologia a silicio. Per gli esperimenti svolti a Harvard, si sono creati dispositivi a microantenne utilizzando substrati di silicio e macchine presenti in qualsiasi industria che produce microprocessori o chip elettronici. In virtù di questa compatibilità, si possono immaginare in futuro piccolissimi circuiti, ciascuno associato a una microantenna, in modo da renderla “intelligente” e farle ad esempio focalizzare un tipo di radiazione ed un altro no oppure un colore da una parte e uno dall’altra».