Nelle prime tre posizioni della classifica stilata da MPS, Piemonte (Barolo), Alto Adige (Caldaro) e Veneto (Prosecco). Quinto il Trentino (Teroldego)
C’è una fascia geografica nel Nord Italia che va dal Piemonte al Veneto che, malgrado la crisi, continua a mantenere sostenuto il valore dei vigneti a ettaro. Chi ha investito in appezzamenti da Barolo nella bassa Langa, tra i vigneti eroici di Chambave in Valle d’Aosta, attorno al lago di Caldaro in Alto Adige, nella piana Rotaliana a nord di Trento, nell’area delle bollicine del Bresciano, nella zona di Valdobbiadene nel Trevigiano, nel basso Piave attorno a San Donà, sui Colli Euganei vicino a Padova ha fatto un buon affare. Lo dice uno studio condotto da Banca Monte dei Paschi di Siena, su “Filiera vitivinicola: tendenze e prospettive per l’Italia.
La Toscana e i valori fondiari agricoli”, che evidenzia come l’agricoltura sia ancora un buon investimento, specialmente quando si sceglie il vino e si creano le condizioni per l’export del prodotto, con particolare attenzione ai mercati emergenti. Più a sud degli Appennini, tiene bene la Toscana dove, dopo un decennio di forte crescita, il valore dei vigneti è ancora alto, soprattutto i filari Docg e filari nelle aree del Chianti Classico e di Montalcino. (segue)
A livello di valore per ettaro, prime sono le colline del Barolo con un prezzo medio per ettaro di 600.000 euro, seconda l’area del Lago di Caldaro in Alto Adige (500.000), terzo il Prosecco più classico delle alture di Valdobbiadene (405.000). “Solo” quarti i filari del Brunello di Montalcino (350.000 euro), in Toscana seguiti dall’area della Piana Rotaliana a Nord di Trento (320.000) vocata a Teroldego.
Dopo l’esplosione dei prezzi per ettaro necessari per l’acquisto di fondi agricoli coltivati a vigneti di pregio, che ha avuto luogo dal 1999 al 2007, nel 2014 si è assistito ad una stabilizzazione generale del mercato, che non hanno seguito il calo dei terreni agricoli comuni. Non c’è stata in questo caso l’erosione di valore che hanno subito i terreni agricoli comuni in nel 2012 e 2013. Più a sud, l’unica zona vocata alla vitivinicoltura a mantenere alti valori fondiari è quella dei Castelli Romani, area di rifornimento storico dell’enorme mercato della capitale. Le regioni meridionali e le isole hanno invece forti spazi di crescita dato che i costi ad ettaro sono ancora abbordabili mentre l’enologia meridionale ha fatto passi da gigante attraendo investitori in aree particolarmente vocate e appetibili, oltre che per la realtà vitivinicola, anche per le risorse storico-artistiche e paesaggistiche, come nel caso della Sicilia orientale attorno all’Etna e occidentale, nel Trapanese, e nella Puglia salentina.
Il mercato mondiale del vino non ha registrato variazioni significative nel 2014, con la produzione e i consumi rispettivamente a 279 e 240 milioni di ettolitri: in questo contesto la Francia ha assunto la preminenza produttiva con 47 milioni di ettolitri e l’Italia è al secondo posto con 44 milioni dopo il notevole calo del 2014. Per quanto riguarda i consumi, ottima la performance degli Usa che sono oggi il primo paese con poco meno di 30 milioni di ettolitri: il Nord America cresce di importanza ed esprimeva nel 2013 il 23% dei consumi mondiali (20% nel 2000), mentre l’Europa è scesa dal 69 al 61% pur rimanendo la macroarea più rilevante. In crescita notevole anche i consumi asiatici, che sono passati dal 6 al 10% del totale nello stesso periodo. Sono proprio America ed Asia i mercati di esportazione più interessanti nel mondo.
Per quanto riguarda l’Italia, le tendenze di lungo periodo sono la stabilizzazione della produzione (tra i 40 e i 50 milioni di ettolitri) ed il calo secolare dei consumi interni, che sono scesi da 30 a 20 milioni di ettolitri dal 2001 al 2014. Per il Belpaese è diventata una necessità primaria avere mercati di sbocco esteri: le esportazioni sono aumentate di oltre il 70% in 10 anni sia in quantità che in valore. I mercati esteri stanno premiando in maggior misura dal qualità, come dimostra il forte incremento degli spumanti, che rappresentano oggi circa il 12% delle esportazioni totali di vino italiano, a fronte di poco più del 5,5% nel 2005.