Confcommercio rivede al ribasso le previsioni sull’economia italiana

Consumi deboli e incertezza dazi lima stima a +0,8%. Il potere d’acquisto degli italiani è inferiore del 26% a quello dei tedeschi.

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Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.

Confcommercio rivede al ribasso le previsioni di crescita dell’economia italiana con un Pil allo 0,8% nel 2025 e allo 0,9% nel 2026. Pesa la vicenda dei dazi, soprattutto l’incertezza per i continui annunci contrastanti, e la stagnazione dei consumi, che dovrebbero far registrare nel 2025 e nel 2026 una ripresa, anche se tiepida. Si tratta di stime comunque più ottimistiche di quelle del governo, che nel Documento di finanza pubblica ha dimezzato la crescita al +0,6% per il 2025 rispetto alle previsioni dell’autunno scorso.

«Nonostante l’incertezza», per il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, «inflazione sotto controllo, occupazione ai massimi e redditi reali in aumento» rappresentano «solidi presupposti per consentire all’Italia di reggere l’urto e attraversare con successo un periodo complesso e pieno di incognite». «La parziale marcia indietro dell’amministrazione americana è una buona notizia: implica che abbiamo una controparte che ascolta imprese e mercati. Ma le ampie oscillazioni negli indirizzi di politica economica non sono prive di conseguenze», ha sottolineato Sangalli, in apertura del Forum di Confcommercio. Per questo è necessario un «paziente, determinato e faticoso lavoro di negoziazione multilaterale per ricucire e ripristinare».

Sul piano interno, Confcommercio chiede uno stimolo ai consumi, che «anche alla fine del prossimo anno, non saranno tornati ai livelli del 2007, cioè di venti anni prima. Quindi – ha sottolineato Sangalli – bisogna rimettere al centro dell’agenda di Governo la riduzione delle imposte per il ceto produttivo. E bisogna farlo adesso».

Negli anni i consumi degli italiani sono calati e cambiati: dal 2007 al 2024 la spesa si è ridotta di 452 euro pro-capite, mentre si concentra più sui servizi. E anche se da quest’anno la stima è di una lenta inversione di tendenza rispetto alla stagnazione degli anni precedenti – con una crescita dei consumi stimata a +1,2% per il 2025 e +1% per il 2026 – il calo non verrà assorbito con la crescita dei consumi di quest’anno e dell’anno prossimo. In particolare, rispetto al 2007, la spesa per beni è calata di 1.115 euro, mentre quella per i servizi è aumentata di 657 euro in media per ogni italiano.

Cala la spesa per alimenti, -408 euro pro-capite (di cui -83 euro per la carne) con gli italiani che spendono 92 euro in meno per vestiario e calzature. Aumenta, invece, la spesa per la sanità e la cura, 112 euro in più in meno di 20 anni. Aumenta di 316 euro la spesa per servizi di comunicazione, ricreazione e istruzioni: è di 190 euro in più la spesa per sport e tempo libero, di 70 euro in più per ristoranti. Allo stesso tempo, i prezzi dell’energia, «sono ancora molto elevati, con un pesante impatto sulle bollette di famiglie e imprese, in particolare quelle del terziario di mercato», per le quali a marzo 2025, le tariffe dell’energia elettrica hanno registrato un incremento del 53,5% rispetto alle tariffe pre-crisi del 2019, quelle del gas addirittura dell’88,2%. E «le misure adottate dal Governo non sono ancora sufficienti», quindi Confcommercio torna a chiedere «interventi strutturali». E per incoraggiare gli investimenti, che secondo le previsioni saranno quasi fermi anche nel 2025 allo 0,4%, occorre lavorare sulla leva fiscale rendono strutturali interventi come la deduzione rafforzata del costo del lavoro e l’Ires premiale.

Ma a pesare, sempre secondo Confcommercio, è anche il ridotto potere d’acquisto degli italiani in confronto ai tedeschi e ai francesi a causa della produttività del lavoro, ferma in Italia da trent’anni, mentre altrove è cresciuta. Tenendo conto del costo della vita, il potere d’acquisto degli stipendi italiani resta del 26,5% inferiore rispetto a quello tedesco e del 12,2% di quello francese. Anche tenendo presente i contributi sociali, che in Italia sono più alti che in Germania e in Francia, lo scarto resta significativo: rispettivamente 16,5% e 11%.

Il divario tra l’Italia e gli altri paesi europei, secondo Confcommercio si spiega in larga parte con le differenze nella produttività del lavoro. In Germania nel 1995 il rapporto fra valore aggiunto e occupati era pari a 71,2: nel 2024 era salito a 84,6. In Francia nello stesso periodo si è passati da 70,4 a 85,3. In Italia nel 1995 si era a 72,8, nel 2024 era ancora a 74,0.

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