L’erario comunica di avere le casse belle piene, visto che nei primi 9 mesi del 2024 ha incassato 33,5 miliardi in più, segnando +5,6% da imposte e contributi. Il fisco da solo segna maggiori versamenti per 27,9 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2023, con una crescita del 6,5%, mentre il gettito contributivo frutta 5,5 miliardi in più crescendo del 2,9%.
Secondo il rapporto sulle Entrate aggiornato dal settembre 2024 dalla Ragioneria dello Stato e dal dipartimento delle Entrate, influiscono positivamente gli incassi dell’Irpef, molto probabilmente legati alla maggiore occupazione, ma anche le imposte pagate sul reddito e sugli utili delle società. Segnano poi una crescita del 29%, con un aumento che vale 2,4 miliardi, gli incassi relativi all’attività di accertamento e controllo, nei quali vengono contati anche i versamenti della rottamazione quater.
Crescono le imposte anche per gli enti territoriali che valgono un maggior incasso di 2,8 miliardi. Ad incassare la fetta più grande sono le regioni, che vedono lievitare di 1,6 miliardi il gettito dell’Irap (+8,3%) e di 885 milioni (+8,6%) quello della propria addizionale. L’Irpef comunale invece vede una crescita dell’8,2%, ma vale solo 335 milioni in più ai quali si aggiungono 70 milioni di maggior gettito dall’Imu (+0,7%).
La fetta più importante del maggior gettito è rappresentata dal gettito dei tributi nazionali. Sono passati dai 393 miliardi del gennaio-settembre 2023 ai 418,6 dei primi nove mesi di quest’anno. In cassa sono finiti così 25,5 miliardi di euro in più. Buon andamento ha dato l’Irpef e in particolare l’impatto delle ritenute da lavoro dipendente e autonomo che hanno garantito 12,2 miliardi di maggior gettito compensando un calo di 451 milioni legata all’autotassazione.
Scorrendo i dati si scopre anche il buon andamento dei risultati delle imprese e società: l’Ires ha dato il 10,2% in più, contribuendo con oltre 3 miliardi di maggiori versamenti, l’imposta sugli utili distribuiti è balzata del 25,2%, fruttando quasi un miliardo in più. L’aumento dei tassi, che per lo Stato rappresenta sempre un maggior esborso nel pagamento degli interessi sui titoli di Stato, ha però avuto un effetto positivo sull’imposta sostitutiva che si applica sui redditi da interessi e da capitale: l’erario ha beneficiato di 5,8 miliardi di gettito in più, +74,3%.
Il contributo delle imposte indirette sul maggior gettito è stato di 6,8 miliardi (+4%) con l’Iva a quota 5,1 miliardi versati in più (+4,3%). La lotta all’evasione e le varie forme di recupero collegate alle rottamazioni ha fatto incassare nei primi 9 mesi dell’anno 10,5 miliardi, con una crescita di 2,4 miliardi sugli 8,1 dello stesso periodo dell’anno precedente. L’incremento di gettito è stato a due cifre, il 29%, una percentuale che sale fino al 38% se si guarda ai soli recuperi fatti per le imposte indirette, come l’Iva.
Interessante anche l’analisi della Ragioneria compiuta sugli incassi contributivi, risultati pari a 198,1 miliardi di euro, in aumento di 5,5 miliardi (+2,9%). In questo caso i contributi all’Inps sono cresciuti di 3,8 miliardi, un valore «sensibilmente influenzato dall’andamento delle entrate contributive del settore privato (+2,3%) mentre gli incassi delle gestioni dei lavoratori dipendenti pubblici risultano in riduzione dello 0,1%».
Anche se il rapporto sulle Entrate non lo dice espressamente, a contribuire al maggior gettito potrebbe essere stato anche il nuovo assetto fiscale che si va progressivamente attuando, con qualche limatura alla pressione fiscale sugli scaglioni Irpef, ma il volano del maggior gettito sarebbe collegato ai regimi fiscali sostitutivi, a partire dalla “flat tax” e dalla “cedolare secca” che hanno tolto o, meglio, disincentivato a vaste potenziali sacche di evasione di proseguire nelle loro abitudini grazie a controlli evanescenti.
La notizia della disponibilità di più soldi in cassa ha fatto scattare il riflesso pabloviano alla politica del “tassa & spendi”, visto che il governo Meloni ha immediatamente allargato i cordoni della borsa sulla legge di bilancio 2025, con la riapertura del semestre di silenzio–assenso per conferire il Tfr voluto dalla maggioranza e uno delle opposizioni, ovvero il salario minimo.
Però, buona norma per uno Stato con forti difficoltà di bilancio e con la necessità di gestire un debito pubblico da 3.000 miliardi (e quasi 100 miliardi di soli interessi all’anno) le maggiori risorse disponibili dovrebbero essere equamente indirizzate sia verso chi quelle risorse le produce in termini di ulteriore abbassamento delle tasse, visto che a tasse più basse corrisponde un aumento di gettito, e verso un fondo destinato all’abbattimento del debito pubblico. Certo, mettere 17 miliardi alla riduzione del debito pubblico non fa titoli sui giornali, non compra voti come il mandare in pensione persone ancora giovani e ancora pienamente lavorative, o, peggio, allungare le solite mancette preelettorali a questo e quello del proprio collegio – e nel 2025 ci sono 5 regioni che vanno al voto -. Però è un segnale di affidabilità, di credibilità, di inversione della tendenza, delle abitudini malate di una classe politica spesso inetta che ha sempre guardato il proprio tornaconto elettorale più che gli interessi generali del Paese.
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