Crisi automotive: Urso presenta ad imprese e sindacati il piano italiano di rilancio

«La crisi dell'auto ci obbliga a decidere. Necessario anticipare aiprimi mesi del 2025 la revisione programmata per il 2026».

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Produzione industriale filiera automotive

Tre punti cardine per affrontare la crisi automotive italiana ed europea diventata la parte cagionevole del sistema manufatturiero europeo con tutte le conseguenze che sta causando a livello di indotto e di ricerca.

Il ministro delle Imprese e del “Made in Italy”, Adolfo Urso, ha illustrato la proposta italiana per uscire dalla crisi automotive ad imprese e sindacati prima di presentarla ufficialmente a Bruxelles al Consiglio competitività. Il centro della proposta è anticipare dalla fine del 2026 all’inizio del 2025 la clausola di revisione prevista nel regolamento sui veicoli leggeri, per dare certezze al settore far slittare la data del provvedimento che decreta dal 2035 la vendita di soli veicoli 100% elettrici nella sola Unione europea. Gli altri due perni del piano sono la richiesta di risorse europee per finanziare la transizione e l’introduzione del principio della neutralità tecnologica che consentirebbe di allungare la vita ai motori endotermici.

«Se il biocombustibile o altre forme di energia raggiungono lo stesso obiettivo, usiamoli – ha detto Urso -. C’è una crisi evidente in atto in Europa con il crollo del mercato elettrico e le difficoltà che incontrano le multinazionali dell’auto che ci obbliga a prendere decisioni» invitando a dare certezze a famiglie e imprese, altrimenti nessuno investe.

A sostegno di questo piano la maggioranza starebbe anche elaborando una mozione da approvare in Parlamento dopo quelle presentate dalle opposizioni che chiedono, tra l’altro, che il numero uno di Stellantis, Carlos Tavares, riferisca in parlamento.

Alcuni punti sollevati dal ministro sono stati condivisi dal presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, che si è impegnato, al termine del tavolo, a dialogare con le Confindustrie europee per «poter dare sostegno a questa politica nuova dell’Europa», in particolare per la competitività delle imprese e la disponibilità di più «tempo e spazio per poter fare la transizione». Le priorità indicate da Orsini sono la messa a terra della sperimentazione del nucleare e l’approntamento di un fondo sovrano per poter incentivare la transizione post Pnrr.

Tra i sindacati, la Cisl ha parlato di un incontro «positivo», mentre Cgil e Uil hanno mostrato perplessità. Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha domandato al ministro se la sua proposta, pur «condivisibile», sia approvata dai maggiori produttori di auto europei. «Se non erro – ha detto Bombardieri – Stellantis, Renault, Volkswagen e Bmw hanno dichiarato che non sono disponibili a ritornare indietro rispetto alla decisione della Commissione europea», dopo aver programmato gli investimenti. Piuttosto Bombardieri ha chiesto ancora una volta un tavolo Stellantis a palazzo Chigi. «La priorità – ha sottolineato – sono i più di 200.000 lavoratori in cassa integrazione».

I sindacati metalmeccanici, che non hanno preso parte all’incontro, temono una crisi automotive con «effetti industriali e occupazionali senza precedenti». Secondo i dati della Fim Cisl, la produzione di Stellantis nel primo semestre 2024 è stata pari a 303.510 veicoli, il 25,2% in meno dello stesso periodo dell’anno scorso e si prospetta una produzione a fine anno poco sopra i 500.000 veicoli. Sono in rosso tutti gli stabilimenti, tranne Pomigliano e Atessa, dove comunque rallenta la crescita. Tra le situazioni più difficili c’è quella di Mirafiori: fino a settembre – spiega la Fiom – sono state prodotte 18.500 auto contro le 52.000 dello stesso periodo del 2023, l’83% in meno e la carrozzeria è ferma fino all’11 ottobre.

Intanto, a certificare come la scelta imposta dalla parte ecotalebana della politica europea sia semplicemente fallimentare ecco la notizia che Il gigante delle batterie elettriche europeo Northvolt ha annunciato che licenzierà 1.600 lavoratori: 1.000 di questi lavorano presso la maxi fabbrica a Skellefteå, nel nord della Svezia, i restanti con sede a Stoccolma e Västerås e vanno ad aggiungersi ai 30.000 che Volkswagen ha annunciato di voler attuare nei primi mesi del 2025.

La valanga dell’elettrificazione della mobilità europea ha appena iniziato a scendere dalla vetta e durante il suo percorso travolgerà molte altre vittime, a partire dai quei manager superpagati immeritatamente al vertice delle case costruttrici europee che non hanno saputo contrastate efficacemente la deriva ecotalebana di Bruxelles, ancora storditi dagli effetti d’immagine dello scandalo sulle emissioni truccate del Dieselgate.

Tutti costoro hanno accettato supinamente il diktat di una classe politica europea largamente incapace, finendo con il buttare al macero la migliore tecnologia disponibile in termini di efficienza e di impatto ambientale, la motorizzazione Diesel, per abbracciare la svolta elettrica in totale carenza di conoscenza, materie prime e di economie di scala, finendo con il consegnare ai produttori cinesi il 20% abbondante del mercato europeo nel giro di soli tre anni. Davvero un record mondiale di insipienza che dovrà essere insegnato nelle facoltà di management di marketing delle università di tutto il mondo.

 

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