Crisi dell’Italia: le ricette per uscirne di Massimo Colomban

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massimo-colomban-ilnordest-quotidianoReteSi propone un decalogo da realizzare e applicare in solo 365 giorni, all’insegna della semplificazione, del taglio della burocrazia, della valorizzazione del merito e dell’intrapresa, oltre che del taglio netto della tassazione su famiglie e imprese

Per uscire dalla crisi e far ripartire l’economia, il lavoro e reddito dei cittadini non servono 1.000 giorni, ma pochi mesi, massimo un anno.

In caso contrario, per un malato grave come l’Italia si rischia il trapasso finale. In quest’arco di tempo ridotto, la ricetta per la cura si basa su salutari, democratiche ed immediate misure intelligenti stilata dall’associazione ReteSi, che raggruppa un centinaio di liberi pensatori ed imprenditori impegnati per risollevare le sorti del paese. Le presenta Massimo Colomban, imprenditore trevigiano e fondatore di Permasteelisa, che è tra le “anime” dell’associazione.

Chi è Massimo Colomban?

Sono un imprenditore che ha creato e guidato per 30 anni il gruppo Permasteelisa, il più grande e prestigioso gruppo al mondo nelle architetture monumentali (5.000 dipendenti, 40 aziende in 4 continenti, oltre 1 miliardo di euro di fatturato); ha poi ristrutturato ed aperto al pubblico Castel Brando, il più antico e fra i più grandi castelli europei (con oltre 200.000 visitatori all’anno); fa il tutor per le start-up e per il risanamento delle aziende, oltre ad essere un investitore nel campo immobiliare con Quaternario. Da due anni partecipa, come co-fondatore assieme ad altri 100 esperti ed imprenditori alla ReteSI.org che rappresenta 25 associazioni, oltre 1,5 milioni di imprese e 5 milioni di lavoratori per fare.

Cosa si può fare per uscire dalla crisi e fare ripartire l’economia italiana?

L’Italia, che io ho lasciato negli anni ’70-’80, per sviluppare come imprenditore (emigrato) Permasteelisa è peggiorata, e di molto! Io ho dovuto emigrare per poter lavorare e sviluppare l’impresa in libertà e democrazia, senza dover soggiacere a scandali e pastette come si è visto anche recentemente con gli appalti dell’Expò a Milano o con il Mose in Veneto. Casi emersi che sono solo una millesima parte di quello che avviene e che tutti supinamente accettano, associazioni imprenditoriali e sindacali comprese In 30 anni di grandi lavori nel mondo, salvo in qualche Paese sottosviluppato, io non ho mai avuto richieste di tangenti!

Mi sembra di capire che se avesse operato in Italia non avrebbe creato la Permasteelisa come la si conosce oggi?

Senza libera concorrenza, in presenza di corruzione, intrallazzi o peggio mafie ed associazioni a delinquere non ci può essere uno sano sviluppo; l’esempio sono alcuni stati sudamericani, dove regna l’intrallazzo sono gli intrallazzatori ad operare, i talenti ed i migliori emigrano (si veda il Venezuela e tanti altri stati degradati e diventati poveri fra corruzione e malgoverno nonostante la ricchezza di risorse naturali di cui dispongono): l’Italia, se non si rinnova velocemente, finirà altrettanto miseramente.

Lei, al culmine della sua carriera ha donato una importante fetta delle sue partecipazioni ad 83 manager (diventati poi gli azionisti del gruppo Permasteelisa) ed ha investito i frutti del suo successo internazionale in Italia: quindi ha creduto e crede ancora in nell’Italia?

Castelbrando 1Io risiedevo all’estero, ma avevo tanti familiari e le radici in Italia, alla quale sono umanamente legato ed affezionato. Pur avendo creato il 99% del mio patrimonio all’estero, circa 10 anni fa ho voluto credere il quello che considero il mio Paese, tornando a risiedere in Italia con capitali al seguito. Una decisione che, forse, ho sbagliato poiché ora vengo dilapidato da tasse esagerate che stanno anno dopo anno assottigliando il patrimonio che avevo tenuto per la mia pensione (visto che alla pensione dell’INPS ho rinunciato). Constato amaramente che l’Italia non fa differenza fra il patrimonio di chi, come me, lo ha costruito in oltre 50 anni di duro lavoro costruendo ricchezza per sé e gli altri, e quelli che il patrimonio non si capisce come lo abbiano accumulato o, peggio, creato dall’oggi al domani tramite speculazioni, intrallazzi o giochi finanziari. Credo che si stia tradendo lo spirito genuino della nostra Costituzione, che prevede nel primo articolo il lavoro e la democrazia popolare come fondamenta del nostro Stato.

Di troppe tasse una nazione può morire?

In Italia il lavoro è tassato mediamente dal 20 al 30% in più rispetto ai 34 paesi dell’OCSE, senza parlare di quello che grava sull’impresa che, grazie ad una cultura ostile all’impresa ed all’intraprendere, la vede tassata fino al 300-400% in più, ben 3-4 volte di più, rispetto ai paesi dell’OCSE (la tassazione media dell’impresa nel 2013, fonte “The US Corporate Effective Tax Rate” rapporto Febbraio 2014 precisa che la tassazione nelle imprese è del 19,6% nei 34 paesi OCSE, del 24,5% nel G20; del 27,6 nel G7 mentre in Italia la pressione fiscale va dal 45% con punte fino ad oltre il 70% nelle imprese che impiegano manodopera o utilizzano fidi bancari i cui interessi non sono deducibili, grazie ad una demenziale tassa, l’IRAP, che il governo deve togliere il prima possibile se vuole dare fiato e speranza alle imprese e, di conseguenza, alla ripresa e all’occupazione.

Secondo lei, quale dovrebbe essere il ruolo dell’Impresa in uno stato moderno?

L’impresa in tutti gli stati liberi e democratici è quello che si definisce il tesoro della nazione, perché crea occupazione, reddito ed avvenire ai lavoratori e proprie famiglie. E’ grazie all’impresa e alla ricchezza creata che lo Stato produce Pil (quello autentico, non quello “lurido” con i proventi delle attività criminali di questi giorni, buono solo per gettare fumo negli occhi), che viene tassato producendo le tasse con cui si sostengono i servizi e la struttura pubblica. Faccio un esempio: ogni lavoratore occupato produce in media 30.000 euro/anno di entrate per lo Stato; un disoccupato costa allo Stato 10.000 euro/anno: se la disoccupazione cresce, la differenza sono 40.000 euro/anno di mancate entrate per lo Stato; se solo il 50% di coloro che cercano lavoro, parliamo di oltre 3 milioni di persone, lavorassero, produrrebbero allo stato 120 miliardi di euro all’anno di maggiori entrate; si aggiunga che ogni lavoratore in più produce mediamente 70.000 euro/anno di maggiore Pil, che sono 210 miliardi di euro all’anno sui quali lo Stato ricava l’Iva e quindi ulteriori 40 miliardi di euro all’anno di maggiori entrate, che sommate a quelle dei lavoratori (120+40) produrrebbero 160 miliardi di euro all’anno di maggiori entrate per lo Stato. Se a queste si aggiungessero altre misure indispensabili, quali costi standard, taglio dei parassitismi, sprechi, caste e privilegi assurdi (che ReteSi ha ben dettagliato su proprio sito) si potrebbe giungere ad un risparmio molto consistente di almeno il 20% sugli attuali 800 miliardi di euro all’anno di spesa: sarebbero ulteriori 160 miliardi di euro all’anno che sommati ai 160 miliardi di euro all’anno generati da un tessuto imprenditoriale libero, democratico e competitivo, genererebbe circa 320 miliardi di euro all’anno da destinare ad investimenti, ai servizi, alla riduzione dell’immane debito pubblico senza ricorrere a nuove, penalizzanti tassazioni.

Su quali basi lei pensa che la spesa pubblica sia contenibile del 20%?

Recentemente ho ristrutturato e risanato due aziende pubbliche (il parco scientifico e tecnologico VEGA di Mestre e Sviluppo Italia Veneto) risparmiando il 20% sulla manodopera, semplicemente tagliando le consulenze non indispensabili, senza quindi licenziare nessuno. Ed ho risparmiato il 40% in tutti i costi dei servizi semplicemente rilanciando tutti i contratti di prodotti e servizi in libera concorrenza. Questi sono fatti reali, riportati nel verbale dell’assemblea, adottabili in tutte le aziende del pubblico e para-pubblico. Gli stessi dati e stime sono comunque stimati da autorevoli esperti indipendenti, non da commissari che provengono da una burocrazia e caste, che quindi tendono a non toccare i loro privilegi spesso assurdi ed esagerati (su ReteSI.org ne trovate tantissimi altri elencati dove la comparazione dei costi, che chiamerei sprechi, italiani rispetto a tanti altri paesi anglosassoni come gli USA o il Regno Unito, sono del 100 e fino al 200-300% più elevati in Italia … Ci sono moltissimi privilegi da tagliare, superpensioni, superstipendi, superbonus, superindennità…)

Lei pensa che basterebbe abbassare le tasse alle imprese e lavoratori per generare un ciclo economico favorevole a produrre velocemente quanto sopra elencato?

Il ciclo economico va generato attraverso una politica pro-attiva dello Stato; parliamo di cose elementari che molti media, troppo asserviti ai poteri e caste, non dicono: quando un’economia è depressa, si diminuiscono le tasse e si stampa moneta, immettendola nel ciclo economico; si devono lasciare i soldi, la liquidità, nelle tasche dei cittadini ed imprese e non prelevarli in maniera sconsiderata, quasi da rapina come sta avvenendo, portando cittadini ed imprese al fallimento ed alla disperazione o, peggio, costringendoli al mettere all’asta o a svendere il loro patrimonio, le aziende, ad una “bisca finanziaria” che ha architettato queste logiche. L’immissione nel mercato a favore di cittadini ed imprese di grandi liquidità di denaro, abbassando la tassazione sulle imprese e lavoro, è stata fatta con successo negli USA, nel Regno Unito, nel Giappone, rilanciando con successo le loro economie. Viceversa, in Itala e in Europa abbiamo perso la sovranità monetaria, che per Costituzione era della banca centrale nazionale (non della BCE di Francoforte germano diretta), con il risultato che ora siamo costretti ad andare a prestito della moneta, che non viene erogata nemmeno per finanziare le infrastrutture, il rilancio e modernizzazione del Paese, rimandando il pagamento dei debiti verso le imprese o bloccando la liquidità anche nei comuni virtuosi che potrebbero spendere senza problemi. Non si deve poi dimenticare che l’Italia sta pagando 100 miliardi di euro all’anno di interessi su un debito pubblico contratto a tassi molto penalizzanti, interessi salati che vengono prelevati dalle tasche dei cittadini attraverso le tasse per pagare i possessori dei titoli pubblici, in grandissima parte quelle banche italiane e internazionali che sono state al centro della crisi. Serve una ristrutturazione del debito pubblico con una moratoria e ri-calibrazione degli interessi: Per far questo, si deve rimettere i costi in ordine nell’apparato pubblico, che continua a sprecare allegramente ingenti risorse. Di sicuro, non si deve soggiacere ad una politica di deflazione, impostaci da paesi e banche che, approfittando di questa situazione che sta azzoppando il tessuto produttivo nazionale, per poi acquistarlo a forte sconto utilizzando quei lauti interessi che vengono prelevati dalle tasche dei cittadini ed imprese che continuano ad indebitarsi per sopravvivere.

Un ciclo vizioso e pericoloso…

Non solo: anche a rischio di costituzionalità, visto che quest’insieme di condizioni hanno portato e stanno conducendo l’Italia dritta verso la povertà e il degrado, minando la stessa democrazia e convivenza. Credo che la soluzione consista nel riappropriarci della sovranità monetaria o, in difetto, ridiscutere il ruolo della BCE che non può e deve essere, come è oggi, asservito alla “Bisca Finanziaria Mondiale”! O, peggio, a logiche di moneta forte che fa gioco alla Germania in danno ai competitor come l’Italia.

Faccia una sintesi delle proposte che, secondo ReteSi, un governo dovrebbe attuare subito…

Serve da subito una legge drastica e severa contro la corruzione, mafie e intrallazzi soprattutto nel settore pubblico e para-pubblico. Si può tagliare tranquillamente il 20% della spesa pubblica, riducendo sprechi, caste e parassitismi, adottando i costi standard in tutti i settori unitamente ad una politica dell’efficienza e del merito. Si deve sfoltire il numero degli enti statali o partecipati dal pubblico non indispensabili ad una corretta e concorrenziale gestione dei servizi (lo Stato deve fare il regolatore e controllore dell’economia, non fare e male l’imprenditore) taglio drastico delle tasse su chi opera e lavora (lavoratori ed imprese) con rivalutazione del ruolo del lavoro e delle imprese e contestuale cancellazione di privilegi parassitari anacronistici. A livello legislativo si deve porre mano ad una drastica semplificazione dell’assetto normativo, semplificandone il contenuto in modo da renderne intelligibile il contenuto senza ricorrere ad esegesi e ad interpretazioni (cosa che apre la porta a comportamenti non sempre corretti), introducendo la mediazione obbligatoria in difetto di accordo tra le parti. A livello giudiziario, servono sentenze emesse in tempi rapidi, esecutive in pochi mesi, perché una giustizia lenta è già per questo un’ingiustizia. Serve valorizzare una cultura del fare, del merito, una scuola che sia meritocratica: si deve valorizzare i talenti, chi intraprende, rischia e lavora, e non, come ora, chi prospera sul nulla, sul tirare a campare, sul chiacchiericcio. Se non si agisce in questo senso, si condannerà il Bel Paese a diventare un Povero Paese, condotto da partiti, sindacati, caste e corporazioni dedite solo alla conservazione dei propri privilegi, o peggio parassitismi, sprechi e ruberie. Stiamo diventando ogni giorno più poveri e miserabili, poiché abbiamo disinformato i cittadini portandoli ad accettare il malgoverno, le malversazioni, le ruberie e corruzioni come prassi normali. Stiamo sussidiano in modo indegno un’immigrazione selvaggia e mortale, foriera solo di problemi per la popolazione, lasciando nel contempo milioni di cittadini alla fame. E’ indispensabile riappropriarsi della sovranità monetaria: l’Italia è un Paese con una capacità produttiva ed industriale notevole che è stata demolita del 25% negli ultimi 6 anni grazie ad una scellerata politica monetaria che è utile solo alla politica tedesca, che per l’Italia è foriera di deindustrializzazione e di essclusione dalla competizione industriale globale, allo stesso tempo al depauperamento della proprietà delle aziende (negli ultimi anni oltre 500 realtà leader mondiali nel loro comparto sono state svendute all’estero).

La politica di oggi è in grado di attuare l’inversione nel senso auspicato da ReteSi?

Non vorrei entrare nel merito della politica contingente, ma credo che con questa classe dirigente sia molto difficile. Secondo me il problema più grande dell’Italia è la cultura verso l’impresa e il rischio: bisogna scrollarsi di dosso una cultura negativa verso l’impresa, che se giustificata contro quel 5-10% di imprese speculatrici e dedite all’intrallazzo, danneggia però la crescita e germinazione di quel 90-95% di imprese sane e genuine, fatte da giovani talentuosi ed individui intraprendenti, che spesso dedicano l’esistenza e moltissime ore al giorno alla crescita e sviluppo dell’impresa fondata spesso su idee innovative, che al contempo è anche crescita e sviluppo dell’occupazione, della nazione e del reddito dei propri cittadini. Chi ci governa, a qualsiasi livello operi, deve valorizzare l’impresa, così come accade in tutti i paesi che crescono e si sviluppano in modo democratico.