Venduti 5,7 milioni di tonnellate in meno con crollo delle entrate tributarie. Calo confermato anche nel 2014
In cinque anni, dal 2009 al 2013, la domanda complessiva di benzina e gasolio in Italia è diminuita di 5,7 milioni di tonnellate, pari a circa il 15,3%. Secondo i dati forniti da Unione Petrolifera su fonti del Ministero dello Sviluppo Economico, anche nel 2014 continua l’andamento delle vendite è negativo: nei primi otto mesi i consumi petroliferi sono calati del 3,8% sullo stesso periodo 2013.
Calo che prosegue anche ne mese di agosto, periodo che solitamente vede un aumento dei consumi a causa dell’esodo estivo, che quest’anno è stato molto ridotto: il calo dei consumi è stato del 6,6% rispetto ad un anno fa (-331.000 tonnellate).
Per quanto riguarda la benzina, il calo delle vendite di agosto è del 5,4% e dall’inizio dell’anno del 3,4% (-184.000 tonnellate). Per il gasolio da autotrazione la diminuzione è dello 0,5% nel 2014 e del -4,6% nel mese di agosto: il dato relativo al diesel costituisce un ulteriore segnale della profonda crisi economica in cui versa il Paese. Nell’insieme i consumi di carburanti (benzina + gasolio) nei primi otto mesi del 2014 si sono ridotti dell’1,3%, rispetto allo stesso periodo 2013 (-261.000 t); ad agosto 2014 siamo a -4,9% su agosto 2013. Nel corso degli ultimi cinque anni, dal 2009 al 2013, la domanda complessiva nazionale di benzina e gasolio sia scesa di 5,7 milioni di tonnellate, pari a circa -15,3%.
Gli impatti sul gettito fiscale (accise + Iva) non sono di poco conto: per il 2014 l’ammontare delle perdite per le casse dello Stato potrebbero superare il mezzo miliardo di euro, cui va ad aggiungersi il calo già registrato nel 2013, valutato in 770 milioni di euro, nonostante che tra il 2012 e il 2013 l’imposizione fiscale sui carburanti sia stata decisamente inasprita dai governi Monti e Letta.
Il calo dei consumi ha effetti diretti, oltre che sul gettito tributario per lo Stato, anche sulle raffinerie e sulla rete distributiva. Il tasso d’utilizzo degli impianti delle raffinerie italiane è sceso sotto l’80%, con una produzione, che, secondo il presidente di Unione Petrolifera Alessandro Gilotti, è in perdita, pari ad un cumulato di 4 miliardi di euro nell’ultimo triennio. Un calo dovuto sì alla domanda interna in contrazione, ma anche al mutato panorama internazionale (con l’entrata di realtà americane e cinesi che ricevono forti sussidi statali) e normativo (la produzione di carburanti in Europa con rigidi standard ambientali è più costosa che altrove).
La questione del carico fiscale che grava sui carburanti non è più rimandabile: serve un deciso taglio, specie su quello che grava sul gasolio, per evitare che la deflazione in corso si amplifichi e per rilanciare l’economia garantendo prezzi più bassi per i beni di consumi (non si deve dimenticare che in Italia oltre l’80% delle merci viaggia su gomma) e ridurre i costi di produzione, oltre che per porre termine ad una odiosa situazione di dumping competitivo delle imprese di autotrasporto nazionale nei confronti di quelle estere che possono contare su gasoli che costano anche 40 centesimi in meno al litro di quello venduto in Italia. Abbassare il carico fiscale sui carburanti servirebbe anche a rilanciare i consumi e a rendere l’Italia turistica più attrattiva nei confronti dell’estero (oltre il 60% dei turisti in ingresso nel belpaese è motorizzato), oggi penalizzata da realtà confinanti che vendono benzina e diesel con prezzi medi inferiori di 20-30 centesimi a quelli italiani. Il tutto a vantaggio di un maggior gettito fiscale legato a maggiori vendite di carburanti, alla maggiore attività delle imprese e a minori oneri sociali derivanti dal pagamento di ammortizzatori sociali per imprese in calo di attività.