Nonostante la contrarietà di molte forze politiche del centro-sinistra, quelle stesse che nella riforma costituzionale del 2001 l’avevano prevista, l’esercizio compiuto della maggiore autonomia comporterebbe benefici in termini di crescita della ricchezza nazionale: lo afferma una valutazione del Centro studi di Conflavoro Pmi: secondo il suo direttore Sandro Susini «le maggiori competenze e responsabilità permesse dall’autonomia differenziata porteranno a un aumento del Pil nazionale di oltre 75 miliardi. In base al nostro studio, una corretta autonomia differenziata ha il potenziale di aumentare nel medio-lungo termine il Pil italiano del 3,5% rispetto al 2023 per un valore, appunto, di oltre 75 miliardi».
Secondo Susini «ovviamente non tutte le regioni italiane avranno il medesimo sviluppo. Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, grazie alla loro forte economia e alle infrastrutture avanzate, potranno trarre il massimo dei benefici arrivando a sfiorare un incremento del Pil attuale di quasi il 4,5%. Altre regioni, invece, come il Lazio e la Toscana, potrebbero vedere benefici attorno al 3%, mentre le regioni meno sviluppate, come la Campania e la Puglia, potrebbero trarre vantaggi significativi, ma richiedono un maggiore supporto per superare le sfide amministrative e infrastrutturali».
Quali saranno i settori più coinvolti dalla maggiore autonomia? Come spiega il direttore del Centro studi di Conflavoro Pmi, in linea generale infrastrutture e trasporti attrarranno la maggior parte delle risorse economiche (30-33%), poi la sanità (23-27%) e, a seguire, istruzione e formazione (15-18%).
«Con l’autonomia differenziata tutti i territori potranno adattare le politiche pubbliche alle proprie specifiche esigenze, migliorando così l’efficienza e l’efficacia dell’amministrazione locale. Il successo di questa riforma dipenderà però sia dalla capacità delle regioni di gestire efficacemente le nuove competenze e risorse, sia dalla capacità del governo centrale di coordinare e supportare questo processo. L’obiettivo ultimo – conclude Sandro Susini – deve essere quello di migliorare la qualità dei servizi pubblici, riducendo le disparità territoriali e creando un ambiente più favorevole agli investimenti». Oltre, naturalmente, a creare una classe politica più preparata e adeguata al nuovo ruolo richiesto dalle maggiori responsabilità derivanti dalla maggiore autonomia.
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