Da aprile 2019 a dicembre 2023, circa 2,4 milioni di nuclei familiari e 5,3 milioni di persone hanno percepito il reddito o la pensione di cittadinanza, per almeno una mensilità. Circa un terzo dei beneficiari ha percepito il sussidio per l’intero periodo. L’importo della spesa pubblica impegnata è stato superiore ai 34 miliardi di euro.
Questi i dati, sulla base dell’Osservatorio Inps, contenuti nella “Relazione per la valutazione del Reddito di cittadinanza”, pubblicata dal Comitato scientifico di valutazione guidato dal presidente Inapp, Natale Forlani, incaricato nel 2019 e ricostituito nel 2023 dal ministero del Lavoro.
«Nelle indagini effettuate dall’Istat – afferma la relazione – la quota delle famiglie in condizioni di povertà assoluta che hanno beneficiato delle prestazioni di sostegno al reddito raggiunge il massimo del 38% nel corso del 2021 (32,3% nel 2022), per una quota equivalente al 58,7% dei beneficiari delle misure (53,4% nel 2022). Queste stime evidenziano la mancata partecipazione di un rilevante numero di famiglie povere».
Una mancata partecipazione, si legge ancora nella relazione, «che deriva in parte dai criteri normativi per la selezione dei potenziali beneficiari e di una quota dei percettori (il 46,6% nel 2022), che non riscontrano le condizioni di povertà sulla base dei criteri utilizzati dall’Istat. Tra i motivi, probabilmente, le caratteristiche delle persone che risultano occupate negli ambiti professionali e nei settori che registrano tassi di irregolarità superiori di tre volte alla media e con rapporti di lavoro di breve durata». Di fatto, la norma voluta dal governo Conte 1 si è basata su criteri non conformi a quelli statistici per individuare univocamente la condizione di povertà, oltre ad avere erogato una copertura a solo poco più di un terzo dei potenziali poveri.
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Le stime effettuate dall’Euromod, «confermano che l’Italia è tra i Paesi che prevedono un elevato importo dell’integrazione al reddito in relazione alla soglia di povertà, ma con livelli di copertura del numero delle persone povere inferiori alla media europea». L’efficacia del reddito di cittadinanza sulla platea dei bassi redditi «è risultata più elevata nel corso della pandemia Covid (2020-2021) e ha consentito la fuoriuscita di circa 450.000 famiglie dalla condizione di povertà (circa 300.000 nel 2022). Metà della spesa erogata nel biennio, circa 8,3 miliardi di euro, ha contribuito a ridurre dello 0,8% l’indice delle disuguaglianze e dell’1,8% il rischio di povertà, insieme alle altre misure erogate dallo Stato a favore dei bassi redditi, in particolare dell’Assegno unico universale». Anche in questo caso, a fronte di una spesa elevata i risultati sono stati estremamente scarsi.
Infine, secondo Forlani «l’introduzione del reddito di cittadinanza ha consentito un significativo aumento del tasso di partecipazione rispetto al precedente reddito di inclusione. Complessivamente però, il rapporto tra la spesa impegnata e i risultati ottenuti in termini di riduzione del numero delle persone povere e di efficacia delle misure di politica attiva del lavoro e per l’inclusione sociale, non sono soddisfacenti».
Quanto alla situazione odierna, per Forlani «le nuove misure, l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro, consentono di rimediare alcune criticità del reddito di cittadinanza e di rafforzare il ruolo delle politiche attive, ma dovranno essere valutate anche per l’efficacia della riduzione della povertà».
Per il viceministro del Lavoro e delle politiche attive, Maria Teresa Bellucci, «la relazione per la valutazione degli esiti del reddito di cittadinanza del Comitato scientifico guidato dal presidente Inapp, Natale Forlani, conferma le criticità che ci hanno motivato a riformarlo profondamente, evidenziando al contempo la bontà delle politiche attive messe in campo dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali».
«Emerge infatti con chiarezza – spiega Bellucci – la scarsa efficacia del reddito di cittadinanza come strumento per contrastare i livelli di povertà, che anzi ha penalizzato particolarmente le famiglie numerose e più povere a fronte di una massiccia partecipazione da parte di nuclei familiari, anche monoparentali, che non erano in condizioni di povertà assoluta. Per questo si conferma la necessità di orientare le nuove misure dell’Assegno di Inclusione (Adi) e del Supporto per la Formazione e Lavoro (Sfl) a beneficio delle famiglie numerose e di quelle con persone fragili, insieme all’impegno per favorire la ricerca attiva dell’occupazione per gli adulti che possono lavorare. Prenderemo in seria considerazione le raccomandazioni del Comitato scientifico contenute nella Relazione per migliorare l’efficacia delle misure della riforma e, soprattutto, per potenziare i servizi territoriali con il concorso attivo degli enti locali e delle organizzazioni del Terzo settore».
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