Gli Stati Uniti accendono un nuovo fronte di guerra, questa volta commerciale, con la Cina, imponendo una raffica di aumenti ai dazi all’importazione di prodotti finiti e materie prime, con il rischio più che fondato che a fare da vaso di coccio nello scontro tra i due giganti ci sia la balbettante ed impavida Europa dei 27, complice soprattutto gli interessi contrastanti della Germania che ha investito pesantemente sul mercato cinese dal quale è fortemente vincolata.
L’amministrazione Biden ha comunicato i nuovi dazi sulle importazioni cinesi, necessari – ha spiegato la Casa Bianca – per proteggere le industrie americane da rivali che non seguono le regole del commercio mondiale. I nuovi dazi saranno applicati su importazioni del valore di 18 miliardi di dollari.
L’amministrazione statunitense ha deciso di quadruplicare i dazi sui veicoli elettrici cinesi, portandoli dal 25% al 100%. Raddoppiati, dal 25% al 50%, i dazi sui pannelli solari. I dazi su alcune importazioni di alluminio e acciaio passeranno dall’attuale 7,5% al 25%. Più che triplicati i dazi sulle batterie al litio per le auto elettriche e quelle per altri usi. Dal 2025, i dazi sui semiconduttori importati dalla Cina passeranno dal 25% al 50%. Per la prima volta, dei dazi saranno imposti su siringhe e aghi medici, come anche sulle gru portuali. Dazi più alti, poi, per guanti medicali di gomma, per respiratori e mascherine.
E questo non è che l’antipasto della guerra commerciale, con Trump che gioca ad un ulteriore rialzo in caso di sua elezione alla Casa Bianca: «metterò una tassa del 200% su ogni auto che uscirà fuori da quelle fabbriche» ha detto l’ex presidente, candidato repubblicano, riferendosi ai veicoli cinesi fabbricati in Messico. «Biden, alla fine, mi ha ascoltato – ha detto Trump – ma con quattro anni di ritardo».
L’amministrazione statunitense teme che i sussidi del governo cinese al settore dell’energia pulita stiano aiutando le aziende a produrre pannelli solari e auto elettriche in quantità superiore alla domanda interna e a costi molto bassi. Questo significa che questi prodotti sono pronti per finire sul mercato mondiale, rendendo quasi impossibile la concorrenza delle aziende del settore negli altri Paesi.
«La produzione eccessiva cinese distorce i prezzi globali e l’andamento della produzione e danneggia le aziende e i lavoratori americani», aveva detto la segretaria al Tesoro, Janet Yellen, a marzo, prima di una visita in Cina per confrontarsi con le controparti cinesi sulla questione.
Non si è fatta attendere, ora, la reazione cinese alla dichiarazione di guerra commerciale: Pechino ha espresso «forte insoddisfazione» per la revisione al rialzo dei dazi, sottolineando di voler adottare «misure risolute a difesa dei propri interessi», secondo quanto si legge in una nota del ministero del Commercio cinese. Secondo Pechino, l’incremento dei dazi viola gli impegni presi dal presidente Biden per evitare di frenare lo sviluppo economico cinese e rischiano di «compromettere seriamente» il clima di cooperazione tra i due Paesi.
La scossa americana non è passata inosservata e alla prossima Eurocommissione toccherà prenderne atto invertendo la deriva ambientalista della scorsa legislatura. Per il ministro alle Imprese, Adoldo Urso, «credo che l’Unione Europea dovrà muoversi necessariamente su una politica industriale estrattiva, che investa sulle imprese come stanno facendo gli Stati Uniti. L’Europa dovrà investire sulla produzione e la prossima Commissione dovrà basarsi sulle risorse comuni, un po’ come fatto sul modello del Pnrr. Gli Usa hanno annunciato dazi pari al 100% sulle auto elettriche cinesi. E’ inevitabile che l’Europa dovrà tutelare la produzione nazionale di fronte a fenomeni di concorrenza sleale».
Tornando al provvedimento americano, l’aumento rilevantissimo dei dazi nei confronti della Cina è stato determinato «dall’utilizzo di pratiche sleali e non di mercato. I trasferimenti forzati di tecnologia e il furto di proprietà intellettuale da parte della Cina hanno contribuito al suo controllo del 70, 80 e persino del 90% della produzione globale per gli input critici necessari per le nostre tecnologie, infrastrutture, energia e assistenza sanitaria, creando rischi inaccettabili per le catene di approvvigionamento americane e sicurezza economica».
La Cina non è sola nell’utilizzo dell’arma delle sovvenzioni statali all’industria: attraverso il “CHIPS and Science Act”, gli Usa stanno investendo «quasi 53 miliardi di dollari nella capacità produttiva americana di semiconduttori, nella ricerca, nell’innovazione e nella forza lavoro. Ciò contribuirà a contrastare decenni di disinvestimenti e delocalizzazione che hanno ridotto la capacità degli Stati Uniti di produrre semiconduttori a livello nazionale».
Per evitare che l’Unione Europea faccia la fine del vaso di coccio, è necessario agire rapidamente, cancellando da subito il divieto di vendita di veicoli con motore termico nella sola Europa a partire dal 2035 e cancellare le assurde incentivazioni pubbliche all’acquisto di auto elettriche, oltre all’obbligo di installare su tutti gli edifici pannelli fotovoltaici.
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