Conti pubblici ballerini: le garanzie pubbliche a famiglie e imprese pesano per 302 mld

Sono importi che comportano rischi per il bilancio pubblico, che deve sopportare anche la crescita degli oneri per il debito pubblico lanciato oltre 3.000 miliardi.

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Non è da invidiare il ruolo che il ministro alle Finanze, Giancarlo Giorgetti, è chiamato ad interpretare nel regista dei conti pubblici nazionali, sotto la spinta di spese fuori controllo come quella legata ai Superbonus per l’edilizia, cui s’aggiungono il potenziale effetto mina insito nelle garanzie pubbliche prestate a famiglie e imprese nel periodo pandemico che valgono 302,4 miliardi di euro, in parte a rischio di insoluto che si trasformerebbero automaticamente in nuovo debito pubblico, di suo lanciato a superare la barriera dei 3.000 miliardi di euro, oltre all’incremento per la spesa per interessi sul debito pubblico.

I conti pubblici sono l’attuale emergenza nazionale che vanno governati con cura e coraggio, quello che sembra mancare a larga parte della politica nazionale che non perde l’occasione di lanciare provvedimenti clientelari ed elettoralistici come il nuovo bonus da 100 euro per le tredicesime per i lavoratori dipendenti con redditi inferiori ai 25.000 euro, immediatamente cassato perché mancano i soldi per esigenze ben più impellenti che non assicurare qualche manciata di voti in più.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, i 302,4 miliardi di garanzie pubbliche corrispondono al 14,5% del prodotto interno lordo del Paese: una massa di denaro enorme che fa segnare una ormai stabile presenza dello Stato nell’economia, ancorché con strumenti indiretti e meno pervasivi rispetto alle partecipazioni azionarie. Di questi, circa 8 miliardi attengono a interventi europei, altri 123 miliardi a misure emergenziali attuate come risposta alla crisi economica innescata dal Covid, poco più di 37 miliardi sono “impegnati” come fondi vari legati a misure per superare la crisi energetica e altri 133 miliardi a strumenti di garanzia ordinari.

In termini assoluti, la voce più rilevante è quella corrispondente al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, nell’ambito dei provvedimenti anti-Covid, che vale oltre 98 miliardi, quasi un terzo del totale e pari al 4,7% del Pil. E una buona parte di queste garanzie potrebbero presto trasformarsi in sofferenze originando nuovo debito pubblico per le difficoltà delle imprese a rimborsare i prestiti ottenuti.

Uno scenario che allarma il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara: «la crescita dell’esposizione dello Stato, legata agli interventi attraverso garanzie pubbliche varati in piena crisi, ha consentito di assicurare la liquidità e l’accesso al credito da parte delle imprese e ha significativamente mitigato il rischio di insolvenza e fallimenti. Tuttavia, occorre capire quale sarà l’evoluzione dei settori economici supportati con gli interventi pubblici e quale sarà l’andamento delle imprese aiutate, in particolare col fondo centrale di garanzia: in assenza di una crescita robusta del Pil italiano, il rischio, infatti, sia da un punto di vista privati sia da un punto di vista pubblico, è di avere perdite ingenti».

L’equilibrio dei conti pubblici nazionali è reso difficoltoso anche dalla rapida crescita del debito pubblico sotto la spinta della spesa fuori controllo legata ai Superbonus edilizi lanciati dal governo Conte 2 e confermati dal Draghi, che dai 30 miliardi iniziali hanno ormai valicato la soglia dei 200 miliardi.

Dal 2023 al 2027, gli interessi che il Tesoro dovrà riconoscere ai sottoscrittori di titoli di Stato aumenteranno di quasi 25 miliardi di euro con una crescita che sfiorerà il 32% da 78 miliardi a 103 miliardi. Secondo il Centro studi Unimpresa, la curva dell’andamento della spesa per interessi sul servizio del debito cresce costantemente e ancor più vertiginosa è l’aumento di questa voce del bilancio pubblico rispetto al Pil: dal 3,8% del 2023 al 4,4% del 2027. Il costo del rinnovamento del debito pubblico salirà del 7,8% nel 2024, del 4,6% nel 2025, del 7,7% nel 2026 e dell’8,4% nel 2027. Nell’arco del quadriennio la spesa per remunerare i sottoscrittori delle obbligazioni emesse dal Tesoro salirà di 24,9 miliardi con un incremento del 31,7% e un forte impatto sui conti pubblici.

«Quello che abbiamo sotto gli occhi è l’ennesimo effetto indesiderato della scellerata politica monetaria dettata dalla Banca centrale europea: con 10 rialzi in appena 14 mesi e il tasso base portato dallo zero al 4,5%, anche gli interessi obbligazionari sono cresciuti, troppo – spiega il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora -. Per questa ragione, il taglio dei tassi da parte della Bce non è solo indispensabile, ma solo urgente. Molti osservatori hanno indicato la riunione di giugno come quella per l’avvio di un ritorno a una politica monetaria più espansiva. Anche il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, equilibrato e lungimirante, ha detto che l’incertezza sui tagli potrebbe cagionare l’inizio di una nuova fase recessiva in Europa. Mi auguro che la linea di Panetta sia prevalente, ma qualche dubbio è legittimo, considerando quali sono gli equilibri all’interno del board della Banca centrale europea. E temo pure che la frenata, sulla riduzione del costo del denaro, da parte della Federal reserve americana possa condizionare per l’ennesima volta le decisioni prese sull’altra sponda dell’Atlantico».

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