Salari degli italiani più bassi di Francia e Germania di oltre 10.000 euro l’anno

Secondo la Cgil 5,7 mln di lavoratori con redditi sotto 11.000 euro lordi l'anno, anche se in Italia si lavora mediamente più ore.

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Tra le maggiori economie dell’Eurozona, l’Italia è quella dove si lavora di più e si guadagna meno, con salari storicamente bassi che solo in pochi casi sono stati adeguati all’inflazione, ma comunque in modo insufficiente a contrastare i rincari.

Il quadro desolante per i lavoratori italiani viene da uno studio della Cgil che evidenzia un dato eclatante: sui circa 17 milioni di dipendenti del settore privato, 5,7 milioni guadagnano in media meno di 11.000 euro lordi annui.

Lo studio guarda alle maggiori economie dell’Eurozona (su dati Ocse) e spiega come nel 2022 il salario medio in Italia si sia attestato a 31.500 euro lordi annui, un livello nettamente più basso rispetto a quello tedesco (45.500) e francese (41.700).

A determinare un minore salario medio in Italia concorrono una maggior quota delle professioni non qualificate, l’alta incidenza del part time involontario (57,9%, la più alta di tutta l’Eurozona) e del lavoro a termine (16,9%) con una forte discontinuità lavorativa. Nel 2022 oltre la metà dei rapporti di lavoro cessati ha avuto una durata fino a 90 giorni e «benché in Italia si lavori comparativamente di più in termini orari, i salari medi e la loro quota sul Pil sono notevolmente più bassi», sottolinea la Cgil.

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Guardando al settore privato, nel 2022 il salario medio dei 17 milioni di lavoratori dipendenti (dati Inps, esclusi agricoli e domestici) si è attestato a 22.839 euro lordi annui, un aumento medio del +4,2% rispetto al 2021 (+911 euro lordi annui), nettamente inferiore all’inflazione del 2022. Il 59,7% di questa platea ha salari inferiori alla media generale, ed è composto da oltre 7,9 milioni di dipendenti discontinui e da oltre 2,2 milioni di lavoratori part time per l’anno intero.

Nel settore pubblico i dipendenti nel 2022 sono stati 3.705.329, con un salario medio di 34.153 euro lordi annui. L’aumento salariale è stato superiore al settore privato, pari al +6,3% rispetto al 2021 (circa 2.000 euro lordi annui) ma, anche in questo caso, è stato inferiore all’inflazione del 2022. I lavoratori restano con salari non aggiornati, spiega lo studio, anche a causa dei lunghi ritardi nel rinnovare i contratti nazionali di lavoro.

La questione salariale caratterizza da decenni l’Italia ed è frutto anche del modello di sviluppo fondato su un sistema produttivo a basso valore aggiunto che si basa sulla micro-piccola impresa. Questi elementi tendono a generare una domanda di lavoro meno qualificato, più precario e, di conseguenza, meno retribuito, cosa particolarmente evidente nel settore privato.

In ogni caso, resta eclatante il confronto con gli altri grandi Paesi dell’Euroarea: nel 2022, secondo i dati Ocse, le ore medie lavorate annualmente dai lavoratori dipendenti in Italia sono state 1.563, un numero pari a quello della Spagna ma decisamente più alto di quello osservato in Germania (1.295 ore) e in Francia (1.427 ore). Mettendo a confronto le ore lavorate e la quota salari sul Pil, emerge come in Italia, benché si lavori comparativamente di più, la quota di reddito destinata a remunerare il lavoro dipendente tramite i salari sia notevolmente più bassa, perfino della Spagna.

Dal lavoro dipendente a quello autonomo, soprattutto delle professioni: anche qui la questione reddituale è forte, con l’equo compenso che non riesce a decollare per garantire ai lavoratori intellettuali il riconoscimento dei minimi in termini di guadagno, che devono fronteggiare gli anni di formazione, i continui aggiornamenti, l’ammortamento degli investimenti in beni strumentali, il pagamento delle tasse – che assorbono mediamente il 50% del reddito lordo –, i contributi previdenziali: un combinato esplosivo che sta allontanando dalle professioni schiere sempre più ampie di lavoratori autonomi, che ripiegano sul lavoro da dipendente e che privano il settore del ricambio generazionale, con i giovani sempre meno attratti dal svolgere mansioni tecniche e giuridiche. Anche in questo campo serve una forte inversione di tendenza per rilanciare l’attrattività del lavoro autonomo.

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