Autonomia differenziata: primo “Sì” al Senato, ma il cammino è ancora irto di imboscate

Ora tocca alla Camera. Difficile che prima del 2026 la norma sia effettivamente efficace. La spada di Damocle della clausola di salvaguardia per potere sostitutivo del governo.

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Autonomia differenziata

La proposta di legge sull’Autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ha superato il primo ostacolo con l’approvazione a larga maggioranza al Senato, con il passaggio ora alla Camera per la successiva discussione e approvazione, che potrebbe anche subire modifiche per poi tornare al Senato. Ma anche nel caso di una veloce approvazione definitiva, magari prima dell’appuntamento con le elezioni europee del giugno 2024, poi toccherà alla definizione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione, per i quali la norma in corso di approvazione prevede due anni di tempo. Quindi, prima del 2026, è difficile che le trattative tra le regioni interessate a fruire della maggiore Autonomia e lo Stato possano effettivamente iniziare.

Quella in corso di approvazione è una legge puramente procedurale per attuare la riforma del Titolo V della Costituzione messa in campo nel 2001 dalla maggioranza di centro sinistra, che mai è stata effettivamente attuata. In 11 articoli definisce le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Si tratta di definire le intese tra lo Stato e quelle regioni che chiedono l’Autonomia differenziata nelle 23 materie indicate nel provvedimento.

Dopo l’approvazione del Senato il disegno di legge del ministro alle Regioni, Roberto Calderoli, si avvia alla discussione a Montecitorio con un testo modificato in commissione e in Aula.

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Se e quando sarà definitivamente approvato, le regioni potranno chiedere competenze su 23 materie, tra queste la tutela della salute, istruzione, sport ambiente, energia, trasporti, cultura e commercio estero.

Prima dell’avvio delle trattative tra la regione richiedente e lo Stato, è necessario definire i Lep in 14 materie per determinare il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, e quindi dei Lep, avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni regione nell’ultimo triennio, aspetto questo che dovrebbe favorire le regioni più popolose e ricche.

L’articolo 4 della proposta Calderoli definisce i principi di trasferimento delle funzioni alle singole regioni modificati in Aula al Senato da un emendamento di FdI, precisando che sarà concesso solo successivamente alla determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili in legge di bilancio. Dunque, senza Lep e il loro finanziamento (aspetto cruciale specie in una stagione di bilanci sempre più magri per la ridotta crescita del Pil e la necessità di ridurre il debito pubblico nazionale), che dovrà essere esteso anche alle regioni che non chiederanno la devoluzione, non ci sarà Autonomia.

Altro aspetto cruciale è dato dalla Cabina di regia, composta da tutti i ministri competenti, assistita da una segreteria tecnica, collocata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio. Dovrà provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni ordinarie, e all’individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai Lep sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale.

Infine, il Governo, entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge, dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep. Successivamente, Stato e regioni, una volta avviata, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un accordo. Le intese potranno durare fino a 10 anni e poi essere rinnovate oppure terminare prima con un preavviso di almeno 12 mesi.

La spada di Damocle su tutto il processo di Autonomia differenziata è costituito dalla clausola di salvaguardia contenuta nell’undicesimo articolo, così come modificato in Commissione, che oltre ad estendere la legge anche alle regioni a Statuto speciale e le province autonome, prevede l’esercizio del potere sostitutivo del governo, con cui l’esecutivo può sostituirsi agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni quando si riscontri che gli enti interessati si dimostrino inadempienti, rispetto a trattati internazionali, normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza pubblica e occorra tutelare l’unità giuridica o quella economica.

Insomma, il percorso per l’Autonomia differenziata è lungo e periglioso e non è escluso di assistere ad un grande gioco dell’oca, con il pericolo di tornare alla casella di partenza, con buona pace dei promotori del referendum del 2017.

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