Il 2023 si avvia ad essere l’anno d’oro delle banche italiane, baciate dalla corsa dei tassi deciso dalla Bce e la politica della parallela lesina della remunerazione dei correntisti, che potrebbe concludersi con 43 miliardi di euro di utili, il 70% in più di quelli, già ottimi, conseguiti del 2022 (25 miliardi di euro) e quasi il triplo di quanto raccolto negli esercizi compresi tra il 2021 e il 2018.
A fare i conti in tasca al sistema creditizio italiano è la Fabi, il principale sindacato dei bancari, che approfitta della pioggia di utili per richiamare gli istituti a condividere i profitti con chi li generati, a partire dai lavoratoridel credito. «Questi risultati legittimano le nostre richieste economiche per il nuovo contratto nazionale, a cominciare dall’aumento medio mensile di 435 euro», afferma il segretario Lando Maria Sileoni, che parla di trattativa «avviata su un percorso positivo».
D’altra parte nei primi nove mesi 2023 le prime cinque banche del Paese (Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Bper e Mps) hanno raccolto 15,7 miliardi di utili, alimentati da un margine di interesse cresciuto del 56% a 27,6 miliardi e che ora rappresenta il 58,3% dei ricavi del sistema, a cui le commissioni (15,9 miliardi) contribuiscono solo per il 33,7% e il trading (3,7 miliardi) per l’8%.
La redditività record si accompagna a livelli di liquidità e di patrimonializzazione «ben superiori» a quelli fissatidalla Bce: gli indici di capitale primario delle grandi del credito oscillano tra il 14% e il 17% mentre i livelli di liquidità si attestano in media al 128% del minimo regolamentare. Non destano troppe preoccupazioni neppure i crediti deteriorati, secondo i dati dell’Abi pari al 3,1% a fine settembre, sostanzialmente stabili rispetto a un anno fa.
E se gli azionisti festeggeranno la pioggia di utili dell’anno d’oro delle banche con un dividendo medio del 46%, lo Stato resterà a secco dopo che tutte le banche hanno scelto di destinare a riserva la tassa sugli extraprofitti annunciata tronfiamente dal vicepremier Matteo Salvini, fatta poi propria anche dalla premier Giorgia Meloni, privando l’erario di un gettitotra i 2,5 e i 3 miliardi, cui potrebbe aggiungersi anche una riduzione del possibile gettito prelevato dai dividendi, visto che una quota maggiore saranno indirizzati alle riserve. Sarà interessante vedere ora dove Salviniraccatterà i denari mancanti per la Finanziaria 2024 dopo l’ennesimo tuffo spanciato nel populismo demagogico.
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